Intervista a Orazio Labbate sul suo esordio narrativo, LO SCURU

lo_scuru_labbate_tunué

Lo Scuru di Orazio Labbate è il terzo titolo della collana di narrativa diretta da Vanni Santoni per Tunué

Lo Scuru di Orazio Labbate è un romanzo d’esordio che punta tutto sulla tensione stilistica, creando una lingua di forte impatto visionario, impastata di oralità e letterarietà: o se ne resta ammaliati o ci si sente respinti.
Il protagonista, Razziddu Buscemi, ci viene presentato ormai anziano dinanzi agli sconfinati paesaggi del Michigan, ma il romanzo ripercorre la sua giovinezza siciliana. È nato infatti a Butera, al di fuori del vincolo matrimoniale: su di lui gravano dunque i pregiudizi dei paesani e della nonna Concetta, che lo vorrà chierichetto e cercherà persino di liberarlo dagli spiriti maligni con un esorcismo; ma ad angustiare il giovane Razziddu sono ancor più il volto sofferente della statua del Cristo dei Puci e la morte misteriosa del padre scafista. Solo il fuoco, la distanza e l’amore di una fimmina, Rosa, potranno lenire la sua inquietudine, senza restituirgli però alcuna armonia. Il nucleo narrativo dello Scuru può pertanto riassumersi in poche righe pronunciate dallo stesso protagonista: «In principio, il mio verbo era confuso, un fantasma piccolo, tormentato dalla religione. Nel sentiero della maturità ne uccisi il disordine con la spirtìzza della ragione e la luce del fuoco». Ma persino la Sicilia ancestrale e il conflitto di un uomo contro la superstizione e le forze oscure che lo ossessionano diventano ancillari rispetto alla scrittura – tanto da lasciare in sospeso il lettore su alcuni quesiti: che fine faccia la madre di Razziddu, per esempio, o come questi si ritrovi a essere negli States non più pescatore ma avvocato. Labbate (e con lui Vanni Santoni che dirige la collana Romanzi della Tunué) chiede di accettare una sfida che si gioca tutta sul piano della parola.

Orazio, da dove scaturisce questa concentrazione assoluta sullo stile? Come hai plasmato la tua scrittura? Continua a leggere

I bestseller del 2017 editore per editore (L-Z)

libri, bestsellerLa scorsa settimana a indicare il loro titolo più venduto nel 2017 sono stati gli editori dalla A alla I, ora tocca agli altri: si tratta inevitabilmente di un elenco parziale, ma spero possa stimolarvi a scoprire marchi che non conoscete o magari a recuperare opere di cui avevate sentito parlare ma non vi avevano ancora sedotto. Continua a leggere

Racconti: finalmente tutta un’altra storia

Una selezione di raccolte di #raccontiAnche l’editoria italiana riscopre le short stories

Credo sia stato per colpa di Dino Buzzati e dei suoi Sessanta racconti, o forse delle Cronache marziane di Ray Bradbury, che sono diventato un appassionato lettore di short stories; certo è che per anni in Italia le raccolte di racconti, come la poesia, sono state per gli editori una scommessa a perdere – e non so con quanta incoscienza vi avessi puntato con una collana apposita (Nuovelettere per Stilo Editrice dal 2010) e una rubrica su Sul Romanzo (Raccontami dal 2012), poi trasferitasi su questo blog (About short stories).
Ora invece, quando stilo pagelle sulle pubblicazioni recenti, quasi sempre sono raccolte di racconti a occupare le prime posizioni, a riprova che se ne pubblicano e di qualità. Qualche esempio? I tempi non sono mai così cattivi di Andre Dubus (Mattioli 1885), Una cosa che volevo dirti da un po’ di Alice Munro (Einaudi), Matteo ha perso il lavoro di Gonçalo M. Tavares (nottetempo), Le cose che non facciamo di Andrés Neuman (SUR); ma occorre assolutamente menzionare anche Il paradiso degli animali di David James Poissant (NN) e La donna che scriveva racconti di Lucia Berlin (Bollati Boringhieri).
Ci sono, poi, piccole case editrici che sempre più spesso danno spazio nei propri cataloghi alle narrazioni brevi, come L’orma editore (con quelle di Marcel Aymé, Bernard Quiriny, Antoine Volodine) o LiberAria (con quelle di Orazio Labbate, Fabio Lubrano, Giovanni Battista Menzani, Alessandro Raveggi). E che dire della giovane ed eccellente Racconti edizioni? Caso più unico che raro, ho letto tre loro volumi e mi hanno entusiasmato tutti e tre: Stamattina stasera troppo presto di James Baldwin, Appunti da un bordello turco di Philip Ó Ceallaigh, Karma clown di Altaf Tyrewala.
Non finisce qui. Continua a leggere

Intervista a Giorgia Antonelli, direttrice editoriale di LiberAria

logo liberariaGiorgia Antonelli ha creato LiberAria nel 2009 con il bando di Principi Attivi della Regione Puglia; nel 2012 la casa editrice si rinnova e diventa una s.r.l. Oggi tra le piccole realtà editoriali è una delle più intraprendenti, capace di operare scelte controcorrente (come quella di pubblicare anche racconti) e presente in tutte le principali fiere di settore (dal Salone del Libro di Torino a Più libri più liberi di Roma, passando per il Book Pride di Milano).

Cosa ha caratterizzato all’inizio il progetto di LiberAria e quanto è mutato negli anni?
Di quale inizio parliamo? Se ti riferisci al primo progetto di LiberAria, quello nato nel 2009 con Principi Attivi, si trattava di una realtà che pubblicava in copyleft e con il print on demand; era una realtà molto naïf, mi ero improvvisata editore senza sapere molto di come questo mondo, in realtà, funzionasse. In quell’anno improvvisato, però, ho avuto la conferma di quanto mi piacesse questo mestiere, ed ero determinata a farne il mio lavoro, e per farlo il cambiamento era inevitabile. LiberAria è mutata completamente quando l’ho riaperta, stesso nome ma nuova ragione sociale e nuova identità editoriale, nel 2012. Avevo una maggiore consapevolezza di quello che andava fatto, grazie anche ai corsi in editoria che nel frattempo avevo seguito presso minimumfax (ora Scuola del Libro) e che mi hanno consentito di avere un’idea più concreta del lavoro editoriale. Abbiamo quindi deciso di dare vita a tre collane: Meduse, narrativa italiana, Phileas Fogg, narrativa straniera, e Metronomi, non fiction, a cui oggi si sono aggiunte due nuove collane: una di letteratura italiana più sperimentale e una che ha l’ambizione di raccontare storie di grandi scrittori che parlino a lettori senza età. Il progetto di LiberAria, oggi, è quello di dare un contributo personale alla buona letteratura, pubblicando libri che ci piacerebbe trovare in libreria. Come spiegato nella nostra linea editoriale, per dirla con Flaubert, “leggere è un modo di vivere”, ed è quello che cerchiamo di fare. Forse questo progetto muterà ancora, il cambiamento è endogeno nella vita, e non mi spaventa, LiberAria è già nata due volte. In Lady Lazarus Sylvia Plath dice “morire è un’arte”, perché lo è anche rinascere, come Lazarus.

Dopo gli studi letterari e un dottorato in Storia contemporanea, hai lasciato l’ambito accademico per dedicarti alla casa editrice e all’insegnamento nei licei: cosa ha determinato tali scelte e come si conciliano questi due percorsi tra loro (e con la vita privata)?
Ho lavorato in università per quattro anni come dottore di ricerca e per due come assegnista, ed è stata una conseguenza naturale dopo gli studi, per me, dal momento che ho sempre amato leggere, scrivere e studiare. È stata un’esperienza bellissima e altamente formativa, a un certo punto, però, è stato chiaro che l’università offriva solo sbocchi a lunghissimo termine e del tutto incerti, così nel frattempo ho conseguito l’abilitazione a insegnare italiano e latino nei licei. Non sono la tipica insegnante “vocata”, perché trovo che la vocazione sia una trappola psicologica che danneggia la scuola e la didattica, e che nulla ha a che vedere con la qualità dell’insegnamento, ma cerco di essere, al mio massimo, un’insegnante professionale e di trasmettere ai ragazzi tutto quello che so, che mi appassiona. Per questo motivo ho sempre cercato di conciliare le mie due attività, portando la letteratura contemporanea nelle scuole e cercando di trasmettere un nuovo approccio ai classici della letteratura. Esiste un gap, nella lettura: si legge moltissimo fino ai tredici anni, poi si iniziano a perdere lettori, e io temo che, in questo, ci siano un po’ di responsabilità scolastiche. La scuola, inconsapevolmente, fa passare l’idea che leggere sia una cosa noiosa e pedante, schiacciata sotto il segno grigio dell’obbligo, invece la letteratura è tutt’altro. Credo che sia in questo momento che i lettori cominciano a dimenticarsi la bellezza e il piacere della lettura. Per questo ho ideato un approccio tutto mio alla didattica, in cui mescolo la programmazione ministeriale alle mie conoscenze e letture personali: spiegare la punteggiatura con Cortázar, le figure retoriche con Queneau, le descrizioni con Foster Wallace e la Woolf, o la bellezza della lingua con Amelie Nothomb, e vedere gli alunni fotografare la lavagna, è una piccola felicità; da circa cinque anni, poi, tengo un piccolo corso di scrittura per ragazzi, sia a scuola che fuori, che ho chiamato “Esercizi di stile”, proprio in omaggio a Queneau: scelgo delle tecniche narrative o dei generi letterari e dei libri che li rappresentino (i dialoghi, le descrizioni, gli incipit, le strutture narrative e narratologiche, ecc). Con i ragazzi li leggiamo e li analizziamo insieme, per poi estrarne degli esercizi di scrittura. Quando anche solo qualcuno di loro compra uno dei libri che abbiamo letto, per me è una vittoria. Ai ragazzi ho tenuto anche corsi di editoria e a LiberAria ci siamo aperti all’esperienza dell’alternanza scuola/lavoro. Adesso sto scrivendo un paio di progetti legati alla promozione della lettura che vorrei realizzare nelle scuole in sinergia con altri editori indipendenti, e che spero si concretizzino.
In tutto questo, ovviamente, c’è il lavoro editoriale: fatto di bozze, contratti, copertine, valutazioni, eventi, fiere e pieghi di libri. Quella che soffre di più, di questo doppio lavoro, è proprio la vita privata. La mia giornata è scandita più o meno così: sveglia alle 6, scuola, redazione dalle 14 fino a quando è necessario, casa (dove continuo a lavorare per la scuola o per la casa editrice), sabati e domeniche inesistenti, o quasi. Senza contare fiere e trasferte il giorno dopo le quali sei di nuovo operativa a scuola. E va bene, perché le energie immesse mi vengono restituite centuplicate. Però vedo poco la mia famiglia, gli amici, gli affetti. Hanno tutti una grande pazienza con me, sappiamo che vedersi o sentirsi meno non fa diminuire il nostro amore reciproco, e questa forza è la mia forza. La mia vita è un frullatore, insomma, ma mi piace in modo quasi insopportabile. Continua a leggere

Intervista a Vanni Santoni, editor della narrativa Tunué

logo tunuéVanni Santoni ha esordito come narratore nel 2007, collabora con diversi periodici e blog di argomento letterario e dal 2012 dirige Romanzi, collana di narrativa italiana della Tunué.

Com’è maturata la scelta di affiancare al ruolo di scrittore quello di editor? Come è nato il rapporto con la Tunué, casa editrice specializzata in pubblicazioni attinenti al mondo del fumetto?
Dopo essersi affermata, in dieci anni di vita, nel campo del fumetto, aprire anche alla narrativa era un passo naturale per una casa editrice che coltivava già un rapporto particolare con la letteratura italiana contemporanea – penso ad esempio agli adattamenti a fumetti di romanzi usciti in questi anni come Canale Mussolini di Antonio Pennacchi, Uno indiviso di Alcide Pierantozzi o Il tempo materiale di Giorgio Vasta. Quando Massimiliano Clemente mi ha proposto di dirigere la collana, ho accettato anzitutto perché ho riscontrato in lui una sincera passione per la letteratura: quando ho spiegato che non mi interessava seguire il mercato o il piccolo “caso”, ma solo pubblicare testi letterariamente validi, ho trovato infatti totale accordo e sintonia. Aggiungerei anche che Tunué si è sempre distinta per la capacità di trovare e lanciare nuovi talenti del fumetto, ed è quello che stiamo facendo anche nella narrativa con le prime uscite.

Attraverso quali canali ti giungono i manoscritti?
Il primo canale a cui guardo è quello delle riviste letterarie, sia quelle più note online, come Nazione Indiana, Carmilla, minima&moralia, Le parole e le cose, Doppiozero, 404:FNF, Via dei Serpenti – o la stessa Nuovi Argomenti, che sta vivendo un bel rilancio, con una ritrovata attenzione ai giovani autori – sia le tante riviste cartacee autoprodotte che continuano a spuntare qua e là, anche nella mia città, Firenze, che dopo un secolo esatto sta vivendo un momento di notevole vitalità letteraria. Questo senza dimenticare i blog personali: Iacopo Barison, con cui poi abbiamo fatto Stalin + Bianca, secondo romanzo della collana, che sta vivendo un successo strepitoso, l’ho scoperto così, grazie agli scritti sul suo blog.
Poi c’è il canale dei manoscritti che arrivano direttamente alla casella narrativa@tunue.com, un flusso considerevole che possiamo già considerare fortunato, dato che ci ha permesso di intercettare un romanzo potente come Dettato di Sergio Peter.
Infine quello, non meno importante, degli autori che mi vengono suggeriti da colleghi di cui mi fido e di cui conosco la competenza. È il caso dello Scuru di Orazio Labbate, che mi è stato al contempo proposto dalla sua agente e caldeggiato dall’amico scrittore Alcide Pierantozzi. Questo canale è ovviamente composto anche da autori che conosco direttamente: ad esempio sapevo bene che Francesca Matteoni, che già conoscevo e stimavo come poetessa, stava lavorando a dei testi di prosa. Quei testi che poi sono diventati Tutti gli altri, l’ultimo nato della collana.
Ultimamente sto anche accettando inviti a insegnare scrittura, proprio nella speranza di scovare qualche talento ancora non del tutto espresso. Continua a leggere

I libri migliori pubblicati negli ultimi mesi secondo i critici letterari

2014_2

Dopo aver pubblicato le indicazioni degli editor, ecco le risposte dei critici letterari alla domanda su quale ritengono sia stato l’esordio italiano più interessante e quale la pubblicazione più significativa degli ultimi mesi.

Daniela Brogi, critico letterario
Per l’esordio indicherei Cartongesso, di Maino (Einaudi), Premio Calvino 2013. Per due motivi, sinteticamente parlando: perché Maino racconta una storia interessante da sperimentare attraverso la scrittura; perché costruisce un punto di vista e un dispositivo di selezione tematica e compositiva proprio attraverso il linguaggio, come in modi diversi accade anche in Stati di grazia, di Davide Orecchio (il Saggiatore). Questi due romanzi, cioè, lavorano sul linguaggio, lo trasformano in voce, per costruire, inventare, realtà, senza rimanere intrappolati nel manierismo (come mi pare accada a Roderick Duddle, di Mari, e in parte, e purtroppo perché è uno degli scrittori che più apprezzo, ne La gemella H, di Falco – entrambi Einaudi).
Quanto alla seconda parte della domanda, bisogna prima capire cosa si intenda per significativa. Ragionando in termini di successo editoriale, e facendolo senza rimanere troppo attaccati a certe forme di dandismo romantico, ma cercando davvero di capire e di non trattare il pubblico come “la gente” ma come un’aerea che consuma storie in modo spesso molto meno stupido di quanto si vorrebbe credere; attuando questo spostamento di sguardo e di attenzione, la pubblicazione più significativa è Il cardellino di Donna Tartt (Rizzoli), che attesta un bisogno di una misura borderline delle narrazioni di qualità rivelato anche dalle serie tv e che vale la pena di trattare più seriamente. Se si tratta invece di riferire il senso di “pubblicazione significativa” all’ambito più ristretto del giudizio di valore, direi senz’altro Il posto di Annie Ernaux, per due motivi. Perché la casa editrice L’Orma ha portato in Italia un’autrice davvero importante, una scrittura che scava nella memoria trasformando la scissione in dispositivo compositivo; e perché grazie a lei, come al Nobel a Alice Munro, abbiamo degli ottimi anticorpi, e non sono i soli, per rimanere più immuni alle tante semplificazioni e pregiudiziali sulla cosiddetta “letteratura delle donne”.

Raoul Bruni, critico letterario
Tra gli esordi più importanti dell’anno appena trascorso, molti indicheranno, con buone ragioni, Cartongesso (Einaudi) di Francesco Maino, che si è aggiudicato il Premio Calvino ed è sicuramente un debutto letterario da tenere in considerazione; per quanto mi riguarda, vorrei segnalare un esordio di cui si è parlato meno e che mi è sembrato notevole e singolare: Dettato del ventottenne Sergio Peter, edito nella nuova collana di narrativa di Tunué.
Difficile indicare invece un solo libro importante edito in Italia nel 2014. Mi piacerebbe andare controcorrente e indicare un epistolario, anche perché credo che la quasi totale estinzione della scrittura epistolare, almeno nella forma tradizionale, rappresenti uno dei più funesti effetti collaterali dell’avvento del web. Mi riferisco al carteggio tra Guido Ceronetti e Sergio Quinizio, Un tentativo di colmare l’abisso. Lettere 1968-1996, edito da Adelphi, che è, nello stesso tempo, un testo letterario, un eccezionale documento storico-culturale e un trattato asistematico di religiosità eterodossa a due voci.

Alessandro Cinquegrani, critico letterario e scrittore
In un anno di esordi di successo, spesso usciti dalla fucina del Premio Calvino (penso a Come fossi solo di Marco Magini o al Breve trattato sulle coincidenze di Domenico Dara), il più importante è sicuramente Cartongesso di Francesco Maino (Einaudi), già vincitore a sua volta del Premio Calvino 2013. È un testo nel quale sprofondare, un magma solenne e spurio, nel quale l’indignazione sociale diventa un moto dell’anima, un dramma intimo. Ma è la scrittura, la roboante e potente invenzione linguistica a farne un libro decisamente da segnalare: perché con questa pubblicazione non abbiamo scoperto solo un’opera, come capita coi libri di esordio, ma abbiamo scoperto uno scrittore, merce assai più rara e da tutelare con attenzione.
Potrebbe essere questa anche la pubblicazione più significativa del 2014, ma voglio segnalare anche un autore già affermato che ha pubblicato un libro che finora non ha riscosso l’attenzione che merita: si tratta di La sposa di Mauro Covacich (Bompiani). È stupefacente come Covacich, che ha ormai una lunga carriera, riesca a scrivere sempre parole che vibrano in ogni fibra, che rivelano la verità del dettato, non rinunciando tuttavia a una tecnica di grande qualità. In più in questa raccolta di racconti torna a far convergere moventi privati con eventi pubblici, di cronaca.
Infine, segnalo anche un esordio internazionale: Manuale di danza del sonnambulo di Mira Jacob (Neri Pozza), storia di una famiglia indiana emigrata negli Stati Uniti, alle prese con una difficile integrazione. L’autrice concilia felicità narrativa a invenzione simbolica, e si rifà addirittura a Don DeLillo (che cita).

Angelo Ferracuti, critico letterario e scrittore
L’esordio più significativo del 2014 è indiscutibilmente La fabbrica del panico di Stefano Valenti uscito per Feltrinelli, un libro che diventa biografia sociale nel racconto di un padre morto di amianto, e rinomina in modo originale la classe operaia. Un’opera prima che riesce a coniugare impegno civile e racconto del lavoro, rigore stilistico e immaginazione letteraria, cioè quello che si chiede a una buona opera di letteratura. Raramente si assiste a un esordio così consapevole dei mezzi formali, e sono certo che questo autore ci darà in futuro libri necessari e importanti. Mi ha colpito molto anche un libro passato sotto silenzio, Le lunghe notti di Anna Alrutz di Ilva Fabiani (Feltrinelli).
Direi che l’annata è stata molto ricca per quanto riguarda la letteratura italiana, pare finita la stagione intimistica cominciata negli anni ’80, quella dei “giovani scrittori”; sono usciti romanzi di notevole impatto e forza espressiva, come ad esempio quello di Francesco Pecoraro, La vita in tempo di pace (Ponte alle grazie) e La gemella H di Giorgio Falco (Einaudi), che recuperano anche un retroterra storico, elemento che «Lo straniero», la rivista diretta da Goffredo Fofi, ha colto dedicando alla nuova stagione del romanzo italiano una seri di numeri-inchiesta.
Un libro straniero di grandissima qualità che mi ha colpito molto è Il posto di Annie Ernaux (L’Orma), e i racconti di un altro grande stilista, Tobias Wolff, La nostra storia comincia (Einaudi). Continua a leggere

DETTATO di Sergio Peter e STALIN + BIANCA di Iacopo Barison, la narrativa Tunué

cover_barison_peter_stalin_bianca_dettatoTunué inaugura una nuova collana di narrativa diretta da Vanni Santoni

La casa editrice Tunué ha deciso di allargare il suo catalogo (composto da fumetti e graphic novel) affidando la direzione di una collana di narrativa a Vanni Santoni, scrittore e critico letterario di origini toscane; dopo un lungo lavoro di scouting, sono usciti i primi due volumi: Dettato di Sergio Peter e Stalin + Bianca di Iacopo Barison. Due autori sotto i trent’anni e due volumi dalla pregevole grafica e dal costo contenuto (9,90 euro). Santoni ha più volte dichiarato: “quello che mi interessa è solo la qualità della scrittura” (si legga anche l’intervista su Linkiesta), affermazione certo rimarcata nella scelta del primo romanzo della collana. In Dettato di Peter la struttura narrativa è rastremata al punto da rendere l’opera una successione all’apparenza casuale di ricordi e testimonianze; si tratta infatti di un viaggio nella memoria rurale del comasco e in quella famigliare del narratore, presumibilmente lo stesso autore: «Il papà visse abbastanza per darmi alla luce e regalarmi un sonaglino rosso e giallo a forma di orsetto, poi però il 4 marzo 1988 cadde dall’impalcatura a Lugano e morì. Ebbe due figli da mia madre, Ida Maria: Claudio, il mio fratello maggiore, e Sergio, che sono io». Un’assenza, quella del padre, che segna la quotidianità del bambino, teso nel tentativo di carpirne i segnali e la voce, anche attraverso quelle altrui – trascritte nell’opera senza mediazioni e dunque impastate di termini ed espressioni dialettali che non vanno però a scapito della leggibilità.

In Stalin + Bianca di Barison c’è invece una trama compiuta, tuttavia è secondaria rispetto alla tensione stilistica e soprattutto al tentativo di sondare la deriva del presente. È un romanzo on the road che vede protagonisti Stalin, un diciottenne con disturbi comportamentali e dei baffi che gli sono valsi il soprannome, e Bianca, una sua amica non vedente: Continua a leggere