La “i” monca della parola “io”

Un breve inedito di Eduardo De Cunto, del quale su questo blog sono state pubblicate delle considerazioni sulla scrittura e alcune recensioni; suoi racconti sono apparsi su diverse riviste.

È vicina. Achille vede il lucore bianco del riflesso del sole sul carapace. Il piè veloce contro la tartaruga: una storia implausibile, sembrerebbe inventata da dei burloni, e non da uomini profondissimi. Achille affretta la falcata; vincerà, non può non vincere. È talmente vicina che la potrebbe toccare, si dice. Eppure, a ogni passo, copre metà distanza, e poi metà della metà, metà di un quarto, metà di un ottavo, metà di un sedicesimo: spazi interminabili. Mentre li copre, muoiono le stagioni, passano le ere, cambia il modo di vestire e di parlare degli uomini. Questa mia mano scrive, e Achille è ancora lì, la tartaruga è vicinissima, ma non si può toccare.

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AUTOBIOGRAFIA, O STORIA DI UN DELITTO PREMEDITATO di Dulce Maria Cardoso

Avete mai pensato che per scrivere si possa arrivare a uccidere? Ebbene, è quanto confessa Dulce Maria Cardoso in questo bel racconto, tradotto da Daniele Petruccioli e pubblicato nella raccolta Sono tutte storie d’amore (Voland) che ho segnalato in un post interamente dedicato alle short stories.

Molti anni fa ho ucciso una donna. A volte sento che mi spia. Soprattutto quando parlo di me. Perciò ho deciso di scriverle questa lettera.

Mia cara,
non voglio essere crudele ma devo dirtelo, praticamente nessuno si è accorto della tua morte. Te ne parlo solo perché so che ti interessa. Sei sempre stata curiosa. Ancor più riguardo alla lealtà negli affetti. I parenti più stretti hanno sentito la tua mancanza, ma non per molto. Ho fatto di tutto perché ti dimenticassero in fretta. Lo stesso è accaduto con gli amici. Ne hai sempre avuti pochi. Non tutti possiedono le qualità necessarie all’amicizia. Meglio smettere di ingannarsi ancora sull’argomento.
Ho proprio dovuto ucciderti. Quando l’ho fatto non immaginavo che mi saresti mancata né che avrei pensato tanto spesso a te. Non ti sto chiedendo scusa. Ho fatto quello che dovevo. Ho cercato di spiegarti quanto fosse impossibile continuare a quel modo, ma tu sorridevi con la condiscendenza che tanto mi faceva arrabbiare. Non mi sono mai piaciute le persone condiscendenti. Continua a leggere

Da KARMA CLOWN di Altaf Tyrewala: LIBRI NUOVI E DI SECONDA MANO

karma-clown-di-altaf-tyrewala-racconti-edizioniKarma clown (traduzione di Gioia Guerzoni) è il quarto volume di short stories pubblicato da Racconti edizioni. Altaf Tyrewala, l’autore, vive negli Stati Uniti ma è nato in India, a Mumbai, e in queste storie ne racconta i ritmi frenetici, le contraddizioni, lo spirito multietnico, con uno sguardo divertito e strafottente come quello del libraio protagonista di questo racconto: Libri nuovi e di seconda mano (qui riprodotto integralmente per gentile concessione dell’editore).

La lettura è sopravvalutata. Non leggo un libro da anni e sto bene lo stesso, grazie tante. Solo perché ven­do libri di mestiere non vuol dire che debba sapere di cosa parlano. Sono come un chimico. Se provassi i miei prodotti sarei già morto e sepolto oppure molto molto malato. E comunque è così che vedo i libri, come una cura per menti malate, stampelle di carta per intelletti vacillanti che faticano a trovare un appiglio nel mondo.
Ero un lettore vorace da giovane. I libri sono per i giovani. Il volume giusto letto da ragazzi può plasmare per sempre il corso della vita. E i libri sbagliati? I libri sbagliati ti costringeranno a cercare per sempre. Devo confessare che sono proprio questi libri che fanno so­pravvivere i librai.
Non intendo rivelare la mia identità, né il nome o l’indirizzo del mio negozio. Ho parecchie cose da dire a proposito dei libri e di chi li legge, li scrive, li pub­blica o li vende. Gran parte di quello che ho da dire è sgradevole, e molto probabilmente finirei per mettere in imbarazzo un sacco di gente, compreso me stesso. Dio solo sa se ho bisogno di altri nemici o altre umiliazioni. A ogni modo, ci sono parecchi dettagli che non posso nascondere se voglio che questa specie di confessione venga fuori con i controcoglioni. L’ultima cosa di cui il mondo ha bisogno è l’ennesimo libro pusillanime. Sono perennemente circondato da quei tentativi falliti: tomi dalla copertina seducente e dai contenuti noiosi rimasti sugli scaffali del negozio per anni a raccogliere polvere, ad aspettare invano quel lettore credulone che si berrà la loro promessa di far luce su qualche aspetto oscuro o inesplorato della nostra realtà. Sono tentato dal tornare a leggere solo perché questi libri obsoleti possano raggiungere il loro scopo un’ultima volta pri­ma di essere venduti al chilo al tizio che ricicla carta nel quartiere. Continua a leggere

SOLI ERAVAMO di Fabrizio Coscia: ESSERE ALL’ALTEZZA DEL FALLIMENTO

Fabrizio Coscia_Soli eravamoSoli eravamo, pubblicato da Ad est dell’equatore, raccoglie diciannove testi che oscillano mirabilmente tra narrazione, biografia e analisi critica. Intersecando aneddoti e considerazioni sulla vita e sull’opera di scrittori, compositori e pittori, con frammenti autobiografici, Fabrizio Coscia suggerisce interessanti prospettive d’interpretazione, rivela l’affannata ricerca di senso degli artisti e dimostra come un romanzo, una poesia, un brano musicale, un quadro possano dare risposte ai nostri interrogativi, facendoci sentire meno soli.
Si tratta di un’opera interessante e originale, accostabile a
Hotel a zero stelle di Tommaso Pincio. Per darvene un saggio, ecco qui di seguito uno dei suoi racconti, essere all’altezza del fallimento: ha per protagonisti il poeta Robert Browning e lo scrittore Silvio D’Arzo, accomunati dal fantasma dell’insuccesso.

Tutti gli scrittori – tutti gli artisti, e forse in generale tutti gli uomini – prima o poi, nel corso della loro esistenza, devono affrontare il fallimento. A volte succede, e giustamente, a scrit­tori mediocri o pessimi; altre volte a scrittori di grande valore, o perfino ai geni. A volte il successo è meritato, altre volte as­solutamente no, e trasforma un asino in un cavallo di razza. Ci sono, poi, casi particolari di scrittori che hanno conosciuto il successo e in seguito, per certe opere, o per un certo periodo della loro vita, la fortuna li abbandona, e vivono il loro crack-up con conseguenze esistenziali variabili.
Gli esempi sono numerosi e anche troppo celebri per essere ricordati. E non è detto che fallimento e successo abbiano una logica comprensibile. C’è quasi sempre qualcosa di imponde­rabile a governarli. Quel che è certo è che succede: qualcosa va storto, le aspettative restano deluse, il silenzio o il dissenso prendono il posto dell’acclamazione, e molto spesso si passa il tempo a logorarsi nella delusione, nell’invidia, nel rancore con­tro il prossimo, nell’autocommiserazione. Oppure no. Oppure si continua a scrivere, che si venga letti o ignorati, riconosciuti o disprezzati. Si va avanti comunque, perché non c’è scelta, e perché il fallimento rivela più cose di quante non ne nasconda il successo, con inoltre il vantaggio di porre molte più domande. E ognuno ha una risposta diversa da dare. Continua a leggere

SMETTERE DI SCRIVERE, SMETTERE DI FUMARE, un racconto di Cristò

Smoking Warning, M.C. EscherSto fumando la mia ultima sigaretta.
Forse la penultima, in ogni caso una delle ultime.
Il fumo mi riempie la bocca poi scende attraverso la gola verso i polmoni, spinto da un complesso movimento dei muscoli del mio apparato respiratorio ben collaudato negli anni, naturale, automatico. Credo che gran parte del piacere sia in questo automatismo, questa assurda familiarità. Anche il senso di colpa è lì, nella naturalezza con cui il mio corpo compie un movimento complesso quanto autolesionistico.
Non fumavo da due giorni e questa astinenza amplifica tutto. L’amaro in bocca è metaforico e reale; un saporaccio. Il fumo scendendo raschia e brucia. I polmoni hanno un leggero singulto, un brevissimo rifiuto. Dura tre boccate, poi tutto torna normale, abitudinario.
Quando spengo la cicca nel posacenere sono demoralizzato. Mi butto due chewing-gum in bocca per cancellare la sensazione di bruciato, per dare sollievo alle papille gustative infiammate.
Mi gira un po’ la testa.
Smettere di fumare significa soffrire: soffrire l’astinenza se si resiste, soffrire la sconfitta se si cede. Soffrire in ogni caso, soffrire per un benessere che arriverà un giorno, che arriverà così lentamente da non sentirlo arrivare. Non fumare non è appagante nell’immediato, e si ha il sospetto che non lo sarà mai davvero.
Come scrivere. Continua a leggere

Egregio Franceschini, pensi al calcio piuttosto

Carlo-Carrà-Partita-di-calcioAl Signor Ministro per i Beni e le Attività Culturali
On. Dario Franceschini
Via del Collegio Romano 27 – 00186 Roma

Oggetto: La letteratura come sport di massa

Egregio Ministro,
le scrivo questa mia perché credo di poter dare un contributo per rimediare a un problema incancrenito: lo scarso interesse degli italiani per la lettura. Penso di avere trovato una soluzione che potrebbe non solo risollevare le sorti del settore, ma contribuire anche, e in larga misura, alla ripresa economica del nostro Paese in questa fase di profonda crisi globale.
Recentemente ho preso parte a una presentazione con dj-set. La libreria, fornitissima di edizioni straniere e in copie limitate, cd, autoproduzioni, film e reparto dell’usato, è proprio nel cuore della mia città, ed è teatro di molteplici eventi. Meta prediletta dei nuovi volti del panorama artistico cittadino, ospita anche certi hipster approdati da Berlino, Londra e New York, o personaggi ai limiti della leggenda, come Lucio Urtubia, l’anarchico spagnolo che tra gli anni ’60 e ’70 rapinava banche ispirandosi a Robin Hood.
Non c’è da stupirsi che il relatore di quella sera fosse dinoccolato e greve come lo straniero di Camus. La saletta, stipata sui quattro lati da una montagna di fumetti, libri e fanzine, raccoglieva una cinquantina di persone, in una soffusa atmosfera da bouquiniste parisienne. Il libro in questione era una raccolta di racconti e, dopo la lettura di alcuni brani (ascoltati in religioso silenzio), il relatore ha esteso la disamina al racconto moderno, chiamando in causa Amy Hempel. Quel nome, sussurrato in baritonale sulla cipolla del microfono, ha provocato un sussulto unanime nel corpo multiforme della platea: un consenso di teste sincronizzate fra le luci soffuse dei faretti.
Anch’io, subitanea e aggregata, ho provveduto a far su e giù con la testa, accordandomi con l’auditorio. E in quel momento, Egregio Ministro, ho capito che forse almeno la metà dei presenti non aveva mai letto neanche una riga dell’autrice americana e la metà di questa metà non aveva neppure mai letto una raccolta di racconti. Eppure assentivano, ipocriti e partecipi.
Eccola, mi sono detta, la ragione per cui molti autori di short stories finiscono per postare le loro cose in quei siti gratuiti per aspiranti scrittori: i racconti in Italia, per dirla con le parole dei mestieranti del mercato editoriale, “non vanno”. Anzi, son proprio i libri che non vanno, perché la metà della metà delle persone che sono qui con me e si son lette Amy Hempel e compreranno la raccolta dell’autore ignaro ai più, non sono, parlando in termini economici, una fetta rappresentativa della popolazione. In parole povere quattro gatti, quando invece occorrerebbero intere legioni.
Così ho pensato: e se in Italia d’ora in poi l’editoria funzionasse come il calcio? Continua a leggere

IL PRINCIPE DEI ROMANZIERI SCONOSCIUTI, un racconto di Manuel Bernasconi

Portrait of writer Vsevolod Mikhailovich Garshin, Ilya Repin, 1884

Gio Batta Sciaccaluga, che nei primi anni del secolo scorso si guadagnò l’appellativo di “Principe dei Ro­manzieri Sconosciuti”, nacque a Genova nel maggio del 1857. Il padre, Sebastiano, possedeva qualche vi­gneto nella zona dell’Ovadese e dal suo scagno in Sot­toripa, davanti al porto di Genova, dove prima di lui avevano operato due generazioni di Sciac­caluga, ge­stiva una florida attività di commerci con l’Oriente. La madre, Luigina Lavaggi, discendeva da una famiglia di nobile lignaggio che aveva il suo feudo nella collina di Albaro, amena località dove anche Charles Dickens ebbe a soggiornare. Le unioni tra esponenti del ceto mercantile e la più rilucente aristocrazia genovese era­no, in quegli anni, all’ordine del giorno, ma quello tra Luigina e Sebastiano fu un matrimonio d’amore, allietato dalla nascita di Virgi­nia (1852), Alessandra (1854) e, infine, dell’unico ma­schio, Gio Batta appunto, che fin da subito fu spinto a interessarsi degli affari di famiglia.
Terminate le ele­mentari, dove fu uno scolaro abbastanza anonimo, Gio Batta venne infatti iscritto all’istituto dei Barnabiti che, qualche decennio più tardi, vide tra i suoi allievi il futuro premio Nobel Eugenio Montale. Come Montale anche Gio Batta intraprese studi tecnico-commerciali, e dopo il diploma, nel 1876, iniziò a lavorare con il pa­dre. Non era questa, come sappiamo, la vocazione del giovane Sciaccaluga, nel cui animo il baco della lette­ratura aveva cominciato a rodere in virtù della febbrile lettura dei grandi classici della narrativa ottocentesca. Risale a quel periodo la scoperta di Hugo, Balzac, Flau­bert e dei grandi russi a cui fece contestualmente eco la stesura dei romanzi La pietra del leone nero e Nella selvaggia savana – che vennero rifiutati da una trentina di editori e non videro mai la luce[1] – e di Il piccolo della Lanterna, firmato con il nom de plume di Michele Arri­go e pubblicato dai tipi dell’editore Garbagna nel 1880.
Già dagli esordi appare in tutta la sua plastica evidenza quello che sarà il destino di Sciaccaluga scrit­tore: essere ignorato dall’industria editoriale e vedere riconosciuto il proprio talento soltanto da una ristret­ta cerchia di addetti ai lavori. Alla sua uscita, per esem­pio, Il piccolo della Lanterna fu lodato dal critico Fede­rico Di Vita (che assieme a Felice Cameroni, Antonio Cassano e pochi altri può essere definito uno dei padri della critica militante italiana), il quale salutò con esso la nascita di un nuovo Zola. Eppure tanta benevolenza non fu sufficiente a garantire visibilità (e contratti edi­toriali) a Sciaccaluga, che negli anni successivi scrisse Il giaguaro (mai pubblicato), Il raccolto (mai pubblica­to) e Nello studio di medicina (per il quale, a quanto pare, ci fu un abboccamento con l’editore Gualtiero Stella che si risolse però con un nulla di fatto). Continua a leggere

AD INFINITUM SU AD INFINITUM, un racconto di Cristò

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Cos’è il postmodernismo? – chiese la ragazza con gli occhi chiari seduta sulle scale – Cos’è la metaletteratura?
Dovresti leggere Ad infinitum – risposi.
Vedi, amore – continuai – immagina di scrivere una recensione e di farlo come se fosse un racconto, cominciando con un dialogo tra due personaggi fittizi. Mettiamo che i personaggi siano una ragazza con gli occhi chiari seduta sulle scale e un io narrante non meglio precisato.
Lei fece di sì con la testa: vai avanti; spiegami meglio!
Io aspettai un attimo. Avevo sempre pensato di essere incapace di esprimere i concetti con le giuste parole eppure tutti mi dicevano che sapevo parlare bene. Io invece mi sentivo sempre impreciso.
Nel racconto – dissi – l’io narrante è convinto di essere incapace di esprimere i concetti che ha in mente con le giuste parole, eppure tutti gli ripetono che parla bene e gli fanno domande difficili. Lui cerca di spiegarsi e riesce a dire solo la metà di quello che ha veramente nella testa.
La ragazza con gli occhi chiari seduta sulle scale disse che a lei succedeva sempre questa cosa di non riuscire a trovare le parole giuste.
Io sorrisi.
Che c’entra questo con la metaletteratura? Che c’entra con il postmodernismo? – chiese. Continua a leggere

LETTERA A UN EDITOR, un racconto di Antonio Lillo

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Egregio Editore,
anzi editor, perché credo che all’Editore questa cosa non arriverà mai, a meno che non si decida di farne dei soldi. Caro editor, allora – e sappiamo entrambi che una minuscola davanti al nome e una lettera mancante marcano bene la differenza, ci rendono più simili.
Caro editor, sono qui a proporti questa mia raccolta di racconti di cui forse, dopo tutti i manoscritti, gli strafalcioni incomprensibili, i capolavori incompresi, cinico e duro a tutto ciò che è scrittura come sarai diventato, non te ne fregherà nulla, ma l’indifferenza è reciproca perché per quanto mi riguarda, sei solo una sagoma sfocata dall’altra parte del foglio di carta, l’ombra cinese che mi divide dal mio sogno di pubblicare, sei il mio peggior nemico adesso, più di me stesso. Continua a leggere

NESSUN ALTRO MONDO di Osvaldo Capraro, un estratto

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Nessun altro mondo è l’ultimo romanzo di Osvaldo Capraro, pubblicato nella collana Nuovelettere della Stilo Editrice. L’autore si è già confrontato con il noir in Né padri né figli (e/o), ma in entrambe le opere, se ci sono il ritmo serrato e la suspense tipici di questo genere letterario, se c’è il tentativo di interrogarsi sulle dinamiche oscure della politica e della criminalità, c’è anche il talento di dare vita a personaggi inconsueti, come Michele Pellegrino: protagonista di Nessun altro mondo, capace di uccidere un uomo a sangue freddo, ma anche di provare affetto incondizionato per una cagna e di legarsi a una ragazzina ribelle, Erika. Qui di seguito ecco un estratto in cui compaiono tre dei personaggi principali; il colonnello Lochiaro, Coda di cavallo e gli altri vi attendono nelle pagine del romanzo, uno dei più intensi e delicati che ho avuto la fortuna di editare. Continua a leggere