L’importanza della piccolo-media editoria, delle agenzie letterarie e delle riviste per dar voce agli scrittori emergenti: gli esempi di Roberto Camurri, Michele Orti Manara e Paolo Pecere
Esauritasi la “moda degli esordienti”, lanciata un decennio fa dal successo della Solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, a dar spazio ai nuovi autori sono tornati in prevalenza i piccoli e medi editori, come già rilevavo in un post di un paio di anni fa. Ebbene, è ancora su di loro che dovrebbero puntare gli scrittori emergenti o aspiranti tali, ma tenendo conto di alcune evidenze: valutare centinaia di testi, con la prospettiva di trovarne uno apprezzabile ogni cinquanta e più, è un lavoro improbo e poco proficuo, perciò è diventato sempre più importante il ruolo degli agenti letterari. Costoro, se svolgono seriamente il proprio lavoro, non solo selezionano le opere che ritengono interessanti, ma le propongono poi a quegli editori che pubblicano libri di quel genere: di conseguenza il testo giunge sul desktop di chi lo valuterà attraverso una corsia preferenziale e a traffico ridotto. Un’altra strategia di editor e direttori editoriali, seguita in realtà da sempre ma oggi spostatasi dai periodici cartacei al web, è quella di consultare riviste e blog letterari, le cui redazioni fanno spesso un’attenta cernita del materiale pubblicato; piuttosto che leggere una caterva d’inediti, è più facile sondare una manciata di short stories e individuare chi ha talento, per poi contattarlo e chiedergli se abbia per caso scritto altro (il 90% delle volte la risposta è affermativa). Non è del resto un caso che due libri su tre, tra quelli sui quali mi soffermerò qui di seguito, siano proprio raccolte di racconti.
Roberto Camurri, rappresentato dall’Agenzia Letteraria Stradescritte, ha da poco pubblicato la sua opera d’esordio con NN Editore: A misura d’uomo. Si tratta di una successione di racconti che si intersecano ricostruendo la storia dell’amicizia tra Davide e Valerio e del loro legame con Anela e con la piccola comunità della provincia emiliana in cui vivono. Quella di Camurri è una scrittura con qualche sperimentazione stilistica (come l’insistenza di alcune ripetizioni lessicali) e intrisa di malinconia che, a mio avviso, raggiunge il suo apice in Neve, dove affiora il legame tra Valerio e un anziano partigiano.
Michele Orti Manara, dopo aver esordito con l’e-book Topeca ed essersi fatto apprezzare con alcuni scritti apparsi sulle riviste Cadillac, inutile e l’Inquieto, ha scelto di farsi rappresentare da Oblique Studio e ha da poco dato alle stampe, con Racconti edizioni, la raccolta Il vizio di smettere.
I suoi sono testi che per lo più sgorgano da intuizioni ficcanti e che hanno come tema dominante la solitudine, spesso stemperata da un’indulgente autoironia o quantomeno da una serena rassegnazione – come nel racconto che ho maggiormente apprezzato, Sulla colonna, in cui un ragazzo confessa i suoi fallimentari tentativi di instaurare un contatto con adulti e coetanei.
Paolo Pecere, infine, aveva già pubblicato alcuni racconti su Nazione Indiana e Nuovi Argomenti e alcuni saggi di filosofia e di neuroscienza prima di giungere al suo esordio narrativo con LiberAria, nella collana Meduse. La vita lontana è un romanzo in quattro parti: nella prima, la più ampia, la narratrice, Dora, ripercorre la relazione con Elio che, dopo aver condiviso con lei gli ideali comunisti, fugge in India alla ricerca di senso, lasciandola sola ad accudire due gemelli, il vitale Marzio e il gracile Livio; è poi il conflitto tra i due ragazzi a deflagrare nella seconda parte e ad accelerare il ritmo della storia; la terza e la quarta, infine, spostano definitivamente il baricentro di questa fragile famiglia verso l’Asia, dove Dora sarà costretta a riconoscere quanto ha sempre negato e un equilibrio precario parrà quasi possibile. È dunque un’opera densa, sia per le riflessioni sulle sempre più turbate dinamiche parentali e sul confronto tra alienante pragmatismo occidentale e spiritualità orientale, sia per la scrittura piena, erudita, di cui Pecere dà prova.
A ogni modo, se avete un inedito sepolto in qualche cartella del computer e volete proporlo a un editore senza intermediari, né cercare prima di rendere il vostro nome familiare agli addetti ai lavori pubblicando qualcosa online, non trascurate la raccomandazione di Filippo Tuena nel suo simpatico Manualetto pratico a uso dello scrittore ignorante: “[…] quand’anche il romanzo non fosse perfetto, una lettera di presentazione deve essere perfetta, possibilmente anche avvincente. Gran parte della tua fortuna dipenderà da quel foglio di presentazione così come una conquista d’amore dipende dal biglietto che accompagna il primo mazzo di rose rosse”. Qui, infine, trovate una serie di consigli su come si dovrebbe proporre la propria opera a un editor: https://giovannituri.wordpress.com/2016/12/20/come-proporre-un-manoscritto-la-sinossi-e-la-biografia/
Segno, segno tutto, tanto non avrò mai il coraggio di proporre niente 😬
Mai dire mai. 🙂
Grazie per questo interessante post. Una domanda: ma questi agenti letterari dove si trovano? come si contattano? in genere che tipo di rapporto/contratto si stabilisce fra un agente e uno scrittore?
Generalmente tutte le agenzie letterarie hanno un sito internet con i recapiti e ognuna stabilisce rapporti diversi con gli autori: conviene consultarle direttamente.
Grazie, ho dato un’occhiata ad alcuni di questi siti.
Se ben capisco, l’iter classico per un’opera inedita è: 1. agente letterario, 2. se l’agente lo ritiene opportuno inoltra l’opera a un editore, 3. se l’editore vuole pubblicarla la passa a un editor per “sistemarla”. Il passo 1. però a volte si può saltare.
È corretto, o ho capito male? Mi scuso per le domade tediose, ma è un mondo che mi è estraneo.
Non sempre le opere inedite passano per un’agenzia, queste ultime comunque si occupano di aiutare l’autore a trovare una casa editrice interessata e quest’ultima provvederà poi a seguire l’autore nella fase di recisione (editing, impaginazione, correzione di bozze, ecc.).
Grazie. Quindi quando un inedito arriva a una casa editrice è l’editore che lo legge per primo, mentre l’editor eventualmente subentra dopo, se l’editore decide di pubblicarlo: è corretto? o in realtà gli editor fanno anche l’opera di selezione? Mi scusi di nuovo, ma pur cercando anche in altri siti, questo punto continua a non essermi completamente chiaro.
Ogni casa editrice si regola in base alle competenze e al numero dei propri collaboratori: di solito l’editore si occupa più degli aspetti amministrativi, l’editor di quelli redazionali e della selezione. Nelle piccole realtà le due figure possono coincidere.
Perfetto, adesso mi è chiaro!