Convivere con la paura del fallimento

Ovvero la responsabilità di pubblicare un’opera letteraria

Forse si può immaginare con quanta ansia uno scrittore partecipi alla pubblicazione del proprio libro, risultato di anni di lavoro, letture e revisioni, con la costante preoccupazione di rivelare troppo della propria storia, delle proprie ossessioni. Poi la fatica di far pervenire l’inedito a chi lavora in ambito editoriale e la frustrazione del silenzio che quasi sempre ne segue. E se si giunge a vedere il proprio nome su una copertina, tutto questo rischia di venire sminuito da una critica superficiale e abborracciata, da qualche commento in un italiano maldestro sui social, o peggio: si potrebbe ricevere solo indifferenza. È un percorso complesso, soprattutto per chi è al suo esordio, e in troppi continuano ad attendere un riconoscimento che non arriverà mai.

Sono meno note invece le paure di chi a un libro tra tanti ha scelto di dare forma, perché dopo un numero incalcolabile di pagine ha trovato quelle che suscitano il suo interesse e la sua ammirazione. Si ha paura che quel testo sia stato nel frattempo già notato da un altro editore: se si è una piccola realtà, si può esser certi che l’inedito sia passato per molte mani quando lo si riceve. Si ha paura che il confronto con l’autore durante l’editing e il lavoro redazionale si trasformi in una danza in cui ogni passo può irritarne la suscettibilità; che sfuggano dei refusi dopo aver dato l’ordine di stampa; che le copie giungano difettate dalla tipografia, compromettendo i tempi del lancio promozionale. Ma soprattutto si condivide la stessa paura dell’autore che la pubblicazione passi inosservata, che quell’opera, con la quale si ambisce ad allargare fosse anche solo di un millimetro l’orizzonte della letteratura, finisca anzitempo nel sovraffollato regno dell’oblio.

Quando accade, a bruciare non sono solo il danno economico e il monito degli scatoloni accatastati in magazzino, ma è anche l’impressione che in realtà quel libro non abbia mai avuto modo di essere valutato: i giornalisti ne ricevono troppi e ne leggono talvolta meno di quanti sono tenuti a recensire per restituire un favore o per non esser da meno dei colleghi di altre testate che hanno già scritto di qualche “opera di tendenza”; i librai sono costretti a star dietro alle proposte dei distributori, alla burocrazia dei resi e all’impersonale concorrenza degli store online; il pubblico sta perdendo la voglia di cercare qualcosa di diverso, di farsi spiazzare dalle novità editoriali, né si fida più di chi parla di caso-editoriale, opera-imperdibile, libro-necessario, scrittura-originale, capolavoro – definizioni che tutti abbiamo contribuito a svuotare di significato.

La parte più penosa però è inviare il rendiconto delle vendite all’autore, ammettere che la fiducia concessa e ottenuta si sta tramutando per entrambi in rammarico, spiegargli che si è fatto il possibile per ottenere un trafiletto sui giornali, per avere un numero congruo di recensioni sui blog letterari, per smuovere la curiosità di librai e lettori. Sarà inutile, anzi sarebbe ingiusto: spetta all’editore assumersi la responsabilità dell’insuccesso, del fallimento, anche per permettere all’autore di alleggerire la propria pena.

Capita, mi è capitato, e in questo anno assurdo, in cui l’attenzione di tutti deve concentrarsi sulle esigenze primarie, il rischio che capiti ancora è davvero alto.

TerraRossa Edizioni ha appena dato alle stampe due esordi diversissimi tra loro, nei quali ho messo il cuore e la mente, ma anche un po’ il senso del mio lavoro: sono opere di due voci molto singolari che chiedono di essere ascoltate attentamente perché diventino una melodia. Daniele Petruccioli e Monica Pezzella sono di professione traduttori, conoscono il valore non solo delle parole, ma anche del modo in cui le si posa, le si mescola, le si affastella, e hanno cercato il proprio stile. Sono certo che l’abbiano trovato e non saprei accettare che la loro ricerca risulti un viaggio solitario.

La casa delle madri di Daniele Petruccioli è la storia di una famiglia dagli equilibri instabili, in cui sentimenti contrastanti convivono stridendo – e nella relazione sbilanciata tra i due gemelli protagonisti c’è la difficoltà di trasformare in relazione solidale un legame di sangue. Ma non è solo questo, è anche un attraversamento dei luoghi che abitiamo ignari di come ci modifichino ben più di quanto facciamo noi con loro. E soprattutto è una narrazione fluviale che si dirama in ogni pagina seguendo l’esistenza di due generazioni di personaggi, ma ogni deviazione riconduce nel punto esatto in cui ci troviamo: al centro di noi stessi. Binari di Monica Pezzella è invece un racconto per omissioni: potremo solo intuire a chi appartenga la Voce che non può accettare che accada l’inevitabile, che assiste agli amori avventati di Marcel e vede poi nascere qualcosa di diverso tra lui e Ale. Sono poche pagine carnali e delicate, entusiaste e sofferenti, che tratteggiano un percorso che si completa oltre la narrazione.

Non posso prevedere quanto l’emergenza in corso, l’assenza delle fiere editoriali e dei cicli di presentazioni influenzeranno le vendite; non so quanto le pressioni dei grandi gruppi editoriali, che sono ancora più esposti alla crisi, condizioneranno l’operato dei librai e le scelte della stampa; non so quanti lettori raggiungerà questo post e quanti crederanno che valga la pena dare un’opportunità a questi due romanzi e ai loro autori; non do per scontato che chi li leggerà proverà la stessa emozione che hanno suscitato in me. Se non altro, mi resta però il privilegio di guardare con orgoglio anche questi nuovi titoli del catalogo TerraRossa e ho imparato che con le paure tocca purtroppo conviverci, senza dargliela vinta, senza smettere di fare del proprio meglio, finché se ne ha la forza.

4 thoughts on “Convivere con la paura del fallimento

  1. Guido Sperandio ha detto:

    Hai dato un quadro esatto, alla virgola. Dal mio punto di vista, lo scenario nel giro rapido di questi ultimi anni è mutato enormemente. La diffusione digitale ha creato caos, inflazione.
    Tutti scrivono di tutto. Senza contare che anche chi avrebbe i buoni numeri si è adeguato senza scrupoli al mercato. Che si può riassumere in due filoni: il giallo e il rosa.
    È il marketing, bellezza, e non ci puoi fare niente… niente!
    PS: Ammiro la tua professione di fede finale. 🙂

  2. martiniseba ha detto:

    Un quadro molto esaustivo. Io sono un autore e comprendo perfettamente le difficoltà che deve affrontare chi fa editoria. Complimenti.

  3. salomé alexandra ha detto:

    Caro Giovanni, il passaparola è un ottimo mezzo pubblicitario e tutti quelli che la conoscono, me compresa, la passeranno di sicuro. Il coraggio e la passione vanno premiati. I grandi gruppi italiani per quel che so, comprano all’asta i già best sellers stranieri, ma di grandi autori italiani non ne hanno trovato, perché non vogliono darsi da fare a leggerli e per altri motivi. Un problema da non sottovalutare per i ‘piccoli’ editori è che i giornali non danno e non daranno mai spazio a loro, ma solo ai grandi gruppi o a chi vogliono loro. se sono stata chiara. Detto questo ci sono dei librai indipendenti che accettano in conto deposito e sono ottimi librai per lo più, Così non si deve pagare uno sproposito un distributore che non distribuisce a caso! Auguri, Giovanni e tanto successo meritato, giacché un vero editore è anche un benefattore! salomè alexandra

  4. […] Questo, Gaetano Colonnese. Per chi volesse leggere per intero il post originale di Giovanni Turi, qui il collegamento. […]

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