Qualche considerazione su quanto, come e perché leggere a partire dalla mia esperienza
Ho deciso, non senza qualche scrupolo, di interrompere la lettura dell’ultimo romanzo di Hanya Yanagihara, ma per farlo sono dovuto arrivare a pagina 303 (di 1091) e confrontarmi con un’altra blogger che non ne era rimasta particolarmente entusiasta. Non è stato facile, perché gli estimatori di Una vita come tante (Sellerio) sono stati tanti, anche tra i critici letterari, e in questi casi si ha sempre il sospetto che la tara sia nostra e non del testo che abbiamo tra le mani. Oltretutto, avevo deciso di acquistarlo dopo aver apprezzato la bella recensione di Alessandro Garigliano su Nazione Indiana e aver ascoltato il lusinghiero giudizio di un amico, Pierfrancesco Ditaranto (al quale devo la scoperta di Javier Cercas). Ebbene, la Yanagihara, attraverso i suoi personaggi, dimostra una profonda comprensione dell’umanità, ma, a mio avviso, tende spesso a uno psicologismo di maniera e la sua delicata scrittura deraglia a più riprese nel melodrammatico; insomma, se in tanti sono stati completamente irretiti da questa storia, io ho iniziato a provarne fastidio, e mi sono arreso.
Sino non molto tempo fa non sarei stato in grado di interrompere la lettura di un libro, per rispetto verso l’autore che, per quanto mediocre possa essere, si è comunque messo in gioco e di chi l’ha pubblicato, investendo su di lui. Per giunta, ci sono opere, come Stoner di John Williams o Satantango di László Krasznahorkai, che solo dopo averle terminate mi hanno trasmesso il loro senso profondo; o altre che hanno richiesto un procedere lento e complesso tra le righe, ma lo hanno poi ampiamente ripagato (basti nominare L’urlo e il furore di William Faulkner). Eppure, circa un paio d’anni fa, ho maturato una considerazione: sono molte di più le opere che mi sono imposto di terminare e mi hanno lasciato poi il senso di aver sprecato il mio tempo (se devo proprio nominarne un paio, direi Gli increati di Antonio Moresco, potente e visionaria a tratti, sovrabbondante e ripetitiva molto spesso, o anche La scuola cattolica di Edoardo Albinati, che mi ero prefissato di recensire su questo blog). È stato allora che ho deciso che ogni tanto avrei definitivamente chiuso qualche libro prima di terminarlo: le probabilità di sottrarre tempo a nuove scoperte letterarie è certo maggiore di quello di farsi sfuggire un capolavoro – e poi, chi mi vieta un domani di rileggere integralmente quanto ho lasciato in sospeso? E se tutti, inclusi coloro che reputo ottimi lettori, ne parleranno bene? Pazienza. La lettura non mette in gioco solo le nostre capacità critico-analitiche, ma anche esperienze, sensibilità, desideri; motivo per il quale non tutti apprezzeranno opere che ho adorato, come 37.2 al mattino di Philippe Djian o Seminario sulla gioventù di Aldo Busi, o che ho pubblicato. Devo farmene una ragione.
Un altro tabù che ho impiegato molti anni a superare è stato quello di non leggere più libri in contemporanea, mi sembrava un tradimento. Ma da qualche anno a questa parte, generalmente leggo una-due ore durante il giorno e altrettante la sera, se non sono in compagnia – più due-tre ore di notte nei (frequenti) periodi di insonnia: be’, era un problema portarmi sempre in giro volumi ingombranti per sfruttare le attese (dal dentista o alla Posta, per esempio) e durante la notte non avevo la concentrazione per leggere saggi o testi di particolare complessità. Non solo, riflettendoci, mi sono accorto che concentrarsi su un solo libro per volta era un po’ come frequentare un solo amico a settimana, quando invece siamo perfettamente in grado di scindere la miriade di storie delle persone che ci attorniano in ogni momento: vale lo stesso per le narrazioni, le tesi e i personaggi, credetemi. Il mio metodo attuale consiste nell’avere sempre sulla scrivania un saggio o un’opera ostica, per i momenti in cui posso concentrarmi di più, e un romanzo o una raccolta di racconti, per gli altri; in più, visto che ancora non mi sono convertito agli e-reader, un libretto sottile da poter portare sempre con me.
Infine, faccio coming out: la mia esperienza come lettore è cominciata con i fumetti (Paperinik, Tex, Zagor, Dylan Dog) ed è proseguita a dodici-tredici anni con la serie di romanzi di Piccoli brividi, a quattordici con Oceano mare di Alessandro Baricco e Di noi tre di Andrea De Carlo: perché dovrei negarlo? Il gusto letterario si rinnova e matura e ciascuno ha facoltà di leggere quel che gli pare (anche quella che viene giudicata paraletteratura) e di lasciar perdere o interrompere quel che lo indispone (anche i capolavori, veri o presunti). Con questo, e chiudo, non intendo dire che i consigli di lettura e le recensioni non servano, ma che ognuno debba trovare e scegliersi critici, recensori e consiglieri che leggano per le sue stesse ragioni, che siano semplice diletto o meno – le mie, ormai credo lo sappiate, sono la ricerca di una maggiore comprensione dell’animo umano o della nostra realtà storica, di nuove forme stilistiche e strutture narrative che non facciano perdere il piacere della lettura, di uomini e donne simili a me, altrettanto inadeguati, ma che attraverso la scrittura hanno saputo riscattarsi.
L’abbandono del libro che non amo è stata una dolorosa conquista dell’età matura, ma ora non sento neppure più il senso di colpa come le prime volte che l’ho fatto. A volte ripesco quella lettura a posteriori, a volta la sentenza è definitiva, ma dormo serena 😊
Io non dormo sereno, ma per altre ragioni. 😀
Parli con un’insonne ormai da qualche anno ahimè
Bell’articolo, sono d’accordo con tutto quello che dici.
Ieri ho finito “La montagna incantata” di Thomas Mann, che mi sono ostinata a portare avanti nonostante l’estrema fatica perché volevo recensirlo sul blog. Alla fine non l’ho neanche recensito davvero. Del resto Thomas Mann stesso, nell’appendice (una conferenza tenuta a Princeton) dice che i libri non vanno letti per forza: «L’arte non dev’essere un compito di scuola, una fatica, un’occupazione contre cœur, ma vuole e deve procurare gioia, divertire, animare, e chi non sente quest’effetto dell’opera d’arte gli conviene lasciarla lì e volgersi ad altro.»
PS. Solo un appunto: ti prego, fai “coming out”, non “outing”. Outing lo faccio io se rivelo che ti piace la cosiddetta paraletteratura, non se lo riveli tu stesso 😉 Scusa la puntigliosità, sono editor anch’io…
Grazie per il riscontro e per la correzione. 😉
Le tue conclusioni sono identiche alle mie, e identico il percorso, al di là dei titoli che l’hanno caratterizzato.
È tutto talmente relativo! Di concreto, c’è il piacere e l’appagamento di quel certo momento.
Per dire, ho preso in mano Pastorale americana, due volte, a distanza di tempo, e due volte l’ho lasciata. Ieri ho incominciato la Macchia umana su pressione di un’amica che lo decanta come il migliore di Roth. Bene, non fosse che è Roth, ma di uno sconosciuto, gli direi: Si vede che hai del talento, adesso però ripuliscilo e riscrivilo…
Ma sì, se nemmeno i lettori fossero persone libere sarebbe la fine. 🙂
Sono problemi che ho smesso di pormi quasi subito, come lettrice. In primis perché c’è così tanto da leggere che è davvero un peccato fermarsi per colpa di un libro; in secundis, perché non è detto che quel libro rimarrà lì abbandonato: un giorno, potrebbe venirmi voglia di rileggerlo e potrei portarlo a termine (cosa che, in effetti, è successa varie volte). Spesso, infatti, mi rendo conto che l’attenzione che presto a un libro piuttosto che a un altro è legata al periodo che sto vivendo: per esempio, se sono un po’ già di morale, preferisco letture allegre e non troppo impegnative; se sono, invece, in un periodo doloroso (per vari motivi) preferisco impegnarmi con una lettura che mi catturi e mi impedisca di pensare ad altro. Ci sono, inoltre, quei periodi in cui vado a capriccio: se, per esempio, acquisto un libro che non vedo l’ora di leggere, metto da parte la lettura corrente e inizio l’altra senza farmi troppi problemi. Potrebbe sembrare brutto, ma mi conosco, so che il mio pensiero correrebbe sempre lì, quindi meglio dedicarmici subito. E, infine, ci sono quei periodi in cui la testa pensa ad altro e non ho proprio voglia di leggere. In quei momenti mi sento in colpa, ma so che durano un po’ e poi passano; tuttavia, se inizio un libro in questo lasso di tempo è molto probabile che lo abbandonerei subito, perché… boh, non riesco a trovare la lettura giusta, suppongo. Quindi, aspetto che passi.
Per quanto riguarda più letture in contemporanea, le evito, non perché non voglia leggere più libri insieme, ma perché quando un libro mi piace particolarmente, diventa quasi un’ossessione e mi ci dedico completamente. Quindi, è come se leggessi comunque un libro alla volta. XD
Ho fatto la stessa cosa con Infinite Jest.
IDEMMMMMM!!!!!!!
Mi viene da grattarmi solo a sentirlo citato!
Si…quel prurito quando senti Infinite jest
🙂
Ormai mi sono liberata di certi sensi di colpa: se un libro non mi piace, mi prendo la libertà di abbandonarlo, di saltare a piè pari dei capitoli, di non osannarlo anche se è considerato un bestseller. Poi vado a leggermi le recensioni di altri, per capire se avrei potuto trovarlo interessante studiandolo da un’altro punto di vista. Comunque, è sempre interessante vedere come dei lettori forti gestiscono questi tabù.