Lo Scuru di Orazio Labbate è il terzo titolo della collana di narrativa diretta da Vanni Santoni per Tunué
Lo Scuru di Orazio Labbate è un romanzo d’esordio che punta tutto sulla tensione stilistica, creando una lingua di forte impatto visionario, impastata di oralità e letterarietà: o se ne resta ammaliati o ci si sente respinti.
Il protagonista, Razziddu Buscemi, ci viene presentato ormai anziano dinanzi agli sconfinati paesaggi del Michigan, ma il romanzo ripercorre la sua giovinezza siciliana. È nato infatti a Butera, al di fuori del vincolo matrimoniale: su di lui gravano dunque i pregiudizi dei paesani e della nonna Concetta, che lo vorrà chierichetto e cercherà persino di liberarlo dagli spiriti maligni con un esorcismo; ma ad angustiare il giovane Razziddu sono ancor più il volto sofferente della statua del Cristo dei Puci e la morte misteriosa del padre scafista. Solo il fuoco, la distanza e l’amore di una fimmina, Rosa, potranno lenire la sua inquietudine, senza restituirgli però alcuna armonia. Il nucleo narrativo dello Scuru può pertanto riassumersi in poche righe pronunciate dallo stesso protagonista: «In principio, il mio verbo era confuso, un fantasma piccolo, tormentato dalla religione. Nel sentiero della maturità ne uccisi il disordine con la spirtìzza della ragione e la luce del fuoco». Ma persino la Sicilia ancestrale e il conflitto di un uomo contro la superstizione e le forze oscure che lo ossessionano diventano ancillari rispetto alla scrittura – tanto da lasciare in sospeso il lettore su alcuni quesiti: che fine faccia la madre di Razziddu, per esempio, o come questi si ritrovi a essere negli States non più pescatore ma avvocato. Labbate (e con lui Vanni Santoni che dirige la collana Romanzi della Tunué) chiede di accettare una sfida che si gioca tutta sul piano della parola.
Orazio, da dove scaturisce questa concentrazione assoluta sullo stile? Come hai plasmato la tua scrittura?
Ho sempre ricercato il complesso e l’inquieto in un libro. Durante le letture notturne, all’inizio dei miei diciotto anni (giacché nella notte, in quel periodo, incominciavo a comprendere che la Letteratura avesse fortissima illuminazione proprio in quel frammento morto della giornata), mi sono accorto che solo una lingua innovativa poteva procreare queste due entità narrative a me ora necessarie; e queste due entità mi traghettavano verso un labirinto mostruoso dove la scrittura, saziandomi, si faceva portatrice di un bellissimo sprofondamento di visione e metafisica.
Pertanto, citandone alcuni, mi nutrivo di Kafka, Kubin, Faulkner, Bufalino, D’Arrigo, Leopardi, William S. Burroughs, Proust, Parise, Satta, Pancake, gli scrittori gotici per me “massimi” (Hoffmann, Walpole, Nodier); e col tempo, più avanti, di Moresco, Tonon, Rimbaud, Thomas, McCarthy, Borges, Stoker, Poe, Wolfe, Céline ecc.
Collo studio, la scrittura impazzata notturna, e colla fagocitazione di questi creatori di lingua e dei loro mondi non-empirici, ho avuto modo di legarmi allo stile, reputandolo capace di destrutturare e smascherare il mondo.
Hai solo ventinove anni, ma hai scelto di raccontare una Sicilia atavica: come mai? Quali sono state le tue fonti?
Secondo me la Sicilia atavica affonda principalmente le sue radici in un territorio ultraterreno fatto di fantasmi, superstizioni e mavare; tradizioni dell’immaginario siculo che i narratori isolani trattano parzialmente oppure di striscio.
Io credo che tali tradizioni, se spogliate della loro rurale impostazione, nascondano demonici confini, carne narrativa nuova e per avere quest’ultima si abbisogna della testimonianza concreta e soprattutto passata.
Io mi sono servito anche della mia infanzia da chierichetto di paese e della mia adolescenza a Butera; e la morte di mia nonna è stata causa dello svelamento e dello studio della storia antica del mio paese e infine occasione di conoscenza del mondo cimiteriale siciliano.
Come sei giunto alla casa editrice Tunué e in che modo hai lavorato sul testo con Vanni Santoni, il tuo editor?
Sono arrivato a Tunué tramite il lavoro di intermediazione del mio agente Cristina Tizian che ha sin dall’inizio compreso la mia tensione alla Letteratura; invece, per quanto concerne il testo e la sua formazione, affermo che Vanni Santoni ha potere maieutico.
Il suo lavoro è stato infatti quello di insegnamento all’emersione delle potenzialità, al rafforzamento letterario, alla strutturazione dello scheletro narrativo (senza per questo esserne schiavi), e all’utilizzo della sostanza nascosta che Lo Scuru possedeva. Senza mai alterare le parole, senza mai immettere la sua mano nel significato del testo medesimo; solo suggerendo e capendo: era come se Vanni stesso vivesse nelle parole del romanzo e ne avesse avuto purissima conoscenza primaria.
Mi sono pertanto trovato a lavorare insieme a uno scrittore autentico, e sopra ogni cosa, a uomo devoto alla Letteratura. “Un editor sterminato”, l’ho definito nei Ringraziamenti alla fine del romanzo, giacché rappresenta una sorta di accorta mistione di letteratura, scrittura e professionalità sacrificale che la scrittura medesima deve, secondo me, prevedere perché ci si avvicini a essa.
Vanni mi ha, dunque, iniziato alla crescita che lo scrivere deve ammettere poiché quest’ultima arte è umile e infiammata.
Dallo Scuru, così come dai tuoi interventi sui social network, emerge una dedizione assoluta per la letteratura: ritieni possa avere ancora un valore fondativo in questa società?
La Letteratura è l’unica via di salvificazione della nostra anima dalla materica e oscura società nella quale abitiamo.
La Letteratura è talmente potente che può migliorare la società, scuotendola dalle sue fondamenta ideologiche spesso immobili e impregnate di obbligatorio adattamento.
Di contro, senza Letteratura saremmo in un eterno silenzio e vittime di una società che ci narra della vita senza lo spirito liquido della vita medesima. Le cose impercettibili, inumane, mostruose e illuminate la non-letteratura non è in potere di narrarle. Senza Letteratura saremmo ciechi e, alla fine, morti camminanti in un graduale invecchiamento, tristemente detentori di alcun segreto.
In definitiva, senza la Letteratura la società sarebbe un cimitero di animali che si parlano senza vedere le stelle.
Per saperne di più sui primi due romanzi pubblicati da Tunué nella collana diretta da Vanni Santoni:
https://giovannituri.wordpress.com/2014/05/27/dettato-di-sergio-peter-e-stalin-bianca-di-iacopo-barison-la-narrativa-tunue/
[…] https://giovannituri.wordpress.com/2015/01/08/intervista-a-orazio-labbate-sul-suo-esordio-narrativo-… […]
Perché solo Vanni Santoni? Bellissimo articolo, in ogni caso
Ehm… in che senso “solo Vanni Santoni”?
Grazie, in ogni caso.
😀 intendevo dire che non solo Vanni Santoni ha dato una chance agli esordienti :). Io non sento grande affinità intellettuale (diciamo simpatia) per la Tunué, dunque il mio era un invito a includere i link ad altri felici esordi, se ne hai scritto. Un esordio felice per me è ad esempio la graphic novel di LRNZ, Golem.
Ho scritto una pillola qui: mihocompratounlibro.com
Ciao, ti leggo.
Ah, ok. 🙂 No che non mi limito agli esordi della Tunué, ci mancherebbe, e la settimana prossima si parlerà un bel po’ di esordienti su questo blog…
[…] mi vengono suggeriti da colleghi di cui mi fido e di cui conosco la competenza. È il caso dello Scuru di Orazio Labbate, che mi è stato al contempo proposto dalla sua agente e caldeggiato dall’amico […]