L’OSPITE D’ONORE di Joy Williams, recensione

Una gran bella selezione di racconti di Joy Williams pubblicata dalle Edizioni Black Coffee

“Non troverò mai il tempo di leggerlo” è stata la mia prima considerazione quando Leonardo Taiuti mi ha messo tra le mani L’ospite d’onore di Joy Williams: con i ritmi frenetici di lavoro e il numero dei libri in lista d’attesa che diventa sempre più increscioso, non è facile dedicarsi a opere voluminose di un autore che già non si conosca o che non si reputi un “classico”. Ma in fondo si trattava di racconti, avrei potuto concedermene uno di tanto in tanto portando al contempo avanti altre letture, come mi aveva suggerito lo stesso Taiuti, una delle sue anime delle Edizioni Black Coffee e cotraduttore di quest’opera insieme a Sara Reggiani.
Ebbene, già dopo il primo racconto, Riguardati, che ha per protagonista un predicatore che si prende cura della moglie malata e della nipote con una forza d’animo disperata, ho capito che quello concesso alla Williams sarebbe stato tempo ben speso. La raccolta include una selezione di 46 short stories in 660 pagine e, oltre alla prima, ho apprezzato particolarmente Ossa di balena, in cui un matrimonio inizia a vacillare e riaffiora un incidente del passato, L’ospite d’onore, che pone a confronto l’eccentricità e l’egoismo di una madre in fin di vita con l’abnegazione sconcertata della figlia, Pericoloso, nel quale una ventenne sta elaborando il lutto per la morte del padre, Il guardiano del ponte, in cui un misantropo viene travolto dalla passione, La cellula madre, che ruota intorno a un gruppo di madri di assassini che fronteggiano insieme l’isolamento e l’irrazionalità.
A prevalere, nei personaggi tracciati da Joy Williams, è una sensazione di squilibrio, di inadeguatezza che finisce per farli sentire estranei anche tra le mura domestiche o al cospetto del proprio partner; spesso a determinare questo moto di esclusione contribuiscono il dolore per un lutto o l’incapacità di redimersi dall’alcolismo – di gran lunga la dipendenza più diffusa nella raccolta. L’autrice non fornisce comunque spiegazioni, ma pone il lettore dinanzi al mistero e all’incomprensibilità dell’agire umano svelandolo al contempo. «Esiste un certo tipo di conversazione che si sente solo da ubriachi ed è come un sogno, impregnato di umorismo, senso di minaccia e valore, un valore profondo. Ed è diverso anche il modo in cui si assiste a qualcosa, da ubriachi. È come indossare una maschera da sub, infilare la testa sott’acqua e osservare cosa c’è sul fondo, il cuore confuso e innocente delle cose» (Ossa di balena): ecco, è precisamente la sensazione che si prova dopo aver letto le pagine migliori di quest’opera, in cui si coglie una certa assonanza con quella splendida di Lucia Berlin, ma c’è qui un maggior distacco emotivo, alla maniera di Raymond Carver, non a caso, grande estimatore della Williams.

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