Self-publishing e altre chimere

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È iniziato il battage pubblicitario di http://www.scrivo.me/, la nuova piattaforma online del Gruppo Mondadori che intende offrire assistenza e visibilità a chiunque voglia autopubblicarsi; editor e altre figure professionali saranno messe a disposizione di chiunque coltivi il sogno della scrittura.

Ora, mi domando: anziché inseguire l’indotto del self-publishing, il più grande gruppo editoriale italiano non farebbe meglio a preoccuparsi soprattutto della qualità del proprio catalogo? Perché continuare a fomentare l’illusione (già innescata da ilmiolibro e affini) che esista una “democrazia della pubblicazione” e che si sia tutti scrittori?

Chiunque lavori nel settore sa che il mercato editoriale vive una contingenza asfittica, che l’editoria di qualità è sempre più penalizzata da un sistema distributivo e promozionale che insegue i bestseller e la letteratura di consumo (terribile ossimoro), che non basta pubblicare un’opera di valore per raggiungere il pubblico, che il mercato è inquinato dalla sovrapproduzione e da testi di infima qualità, che ci sono autori di talento che hanno rinunciato a scrivere perché non vogliono poi riciclarsi come promoter e saltimbanchi – e se non sono disposti a farlo non vengono presi in considerazione da nessun editore.

snoopy-good-writing-is-hard-workAl di là di tutto questo, tuttavia, non meno grave è che si stia perdendo la consapevolezza che scrivere è, dovrebbe essere, “silenzio, disciplina, sacrificio, capacità di rifiutarsi al mondo” (Elisa Ruotolo), “rinunciare a una fetta importante della propria vita” (Cosimo Argentina); potrei continuare con la testimonianza di Antonio Pennacchi (“scrivere non mi diverte, non mi piace. Per me la scrittura è tormento e fatica. Per me è diletto, mi diverto a leggere”) e di molti altri, ma il punto è che la scrittura va presa sul serio – e scrivo.me, ilmiolibro e affini suggeriscono il contrario.

Si può obbiettare che esista una scrittura non letteraria, intimistica, e che sarebbe ingiusto impedirla. Bene, ma perché dovrebbe occuparsene l’editoria? Non bastano i blog personali e i social network? Perché disperdere competenze redazionali e distrarre i lettori con un universo di scritture di bassa qualità sempre più affollato?

Riprendo le parole di Roberto Calasso nell’Impronta dell’editore: “Quale compito rimane per l’editore?
Sussiste tuttora una tribù dispersa di persone alla ricerca di qualcosa che sia letteratura, senza qualificativi, che sia pensiero, che sia indagine (anche questi senza qualificativi), che sia oro e non tolla, che non abbia l’inconsistenza tipica di questi anni. Faire plaisir era la risposta che Debussy dava a chi gli chiedeva quale era il fine della sua musica. Anche l’editore potrebbe proporsi di faire plaisir a quella tribù dispersa, predisponendo un luogo e una forma che sappia accoglierla”.

Ecco, io credo che i (vergognosamente pochi) lettori italiani meritino un’attenzione maggiore alla letteratura e alla narrativa di qualità da parte di chi fa libri e che, anziché rendere più allettante l’attività dello scrivere, si debba promuovere quella del leggere.

35 thoughts on “Self-publishing e altre chimere

  1. Bia ha detto:

    Sicuramente sono idealmente più vicino alla tua idea che a quella di Mondadori. Ma Mondadori è un’azienda, bada al profitto. Come tutte le altre e batte dove il ferro è caldo (di solito con successo). La cultura o la letteratura stanno, da sempre, da un’altra parte.

  2. incostantericerca ha detto:

    E’ vero, concordo con Bia. E’ triste da dire, ma è proprio così

  3. Tommaso ha detto:

    Purtroppo l’editoria, anche grazie a signori come questi, è morta. Non dimentichiamo che Mondadori è sinonimo di Mediaset e con la stessa, anche se attraverso un medium differente, condivide un solo scopo: l’ottundimento di massa proporzionale al massimo profitto! Non aggiungo altro!

  4. Silvia ha detto:

    Condivido l’impianto generale, ma su un paio di punti non mi trovo per niente d’accordo:
    1) Per quel che mi riguarda, il self publishing non è un male in sè, dipende da chi lo usa e perchè. E’ vero che un sistema simile coltiva l’idea sbagliata che siamo tutti scrittori costringendo quelli veri di qualità a svendersi. Ma riporto un caso che conosco: una coppia di amici che conosco, qualche anno fa, prima di sposarsi fece un viaggio missionario in India. Al loro ritorno, lui decise di voler dare testimonianza della loro esperienza. Non è nè vuole fare lo scrittore (è un ingegnere), non voleva certo scrivere il libro del secolo nè altro. . Ma nessun editore si interessa ad un testo senza pretese, che vuole solo mettere per iscritto un’ esperienza e condividerla con altri. Ilmiolibro.it, invece, gli ha dato questa possibilità. Bisogna condannarla per questo?
    2) Le case editrici sono aziende, sono imprese. Ed è giusto che sia così perchè l’impresa, di per sè, non è assolutamente nulla di immorale. E’ giusto che il profitto sia tra gli scopi perchè l’editore non campa d’aria e ha delle spese continue da affrontare, quindi il guadagno è tutt’altro che un optional. Non siamo ipocriti: se non vogliamo riconoscere questo, tanto vale smettere di fare discorsi populisti e pauperisti. Affermiamo, allora, che la letteratura è roba da ricchi che possono permettersi di fare mecenatismo perchè non hanno bisogno di guadagnarsi il pane. Ma non deve essere così, lo diciamo tutti. E se non vogliamo che la letteratura sia “roba da ricchi”, allora dobbiamo finalmente riconoscere che quello editoriale è un lavoro e che, pertanto, il guadagno è un obiettivo tutt’altro che vergognoso. L’immoralità, piuttosto, sta nel fatto che, per ottenere questo guadagno, si svenda le letteratura, spacciando paccottiglia per capolavori, a 18 € a copia. Questo è il vero problema. Ma basta fare discorsi del tipo “è triste che una casa editrice sia un’azienda”. E che cos’è, allora?

    • Giovanni Turi ha detto:

      Silvia, è ovvio che le case editrici siano un’impresa, ma ritengo che debbano occuparsi essenzialmente di letteratura e cercare di sopravvivere grazie a essa, altrimenti tanto vale investire in settori più redditizi. Quanto all’autopubblicazione, il punto è non suggerire che sia un’alternativa ai normali canali dell’editoria, è altro, molto simile al lavoro tipografico, ma con strumenti diversi.

      • Silvia ha detto:

        Hai ragione, detta così mi trovi perfettamento d’accordo. Chiedo scusa, forse ho mal interpretato alcune affermazioni.

      • MartyKite ha detto:

        Io concordo in pieno. Quando mi chiedono cosa penso del self, finisce sempre che discuto, mi rendo conto che sono io che prendo troppo a cuore la cosa e non riesco a parlarne con la lucidità che invece vedo in questo post e nelle tue risposte… davvero chapeu. Io sono la prima che cerca di non rassegnarsi a vederla come Bia, ma andando avanti e confrontandomi sempre di più con questo campo, mi rendo conto che forse lo sto facendo. Tu credi che ci sia luce alla fine di questo tunnel maledetto? O sono solo le luci di scena di Masterpiece?

        • Giovanni Turi ha detto:

          Ti ringrazio Marty, ma non so dirti se ci sia la luce alla fine del tunnel, né se e quando ne usciremo. So solo che occorre continuare a fare resistenza culturale sempre e comunque, senza rassegnarsi.

  5. Alessandro Madeddu ha detto:

    Chissà poi se i risultati varranno l’investimento.

  6. amanda ha detto:

    era una notte buia e tempestosa

  7. Una lettrice ha detto:

    Reblogged this on Una Lettrice and commented:
    Come seguito del mio post Note per colui o colei che desiderano pubblicare un libro. http://wp.me/p3dw0c-cr ribloggo questo articolo.
    Condivido l’ultima frase “credo che i (vergognosamente pochi) lettori italiani meritino un’attenzione maggiore alla letteratura e alla narrativa di qualità da parte di chi fa libri”

  8. Carlo Zeuli ha detto:

    Mi sembra che tutti coloro che hanno lasciato qui un pensiero l’abbiano fatto con onestà intellettuale e con diversi spunti di riflessione. Personalmente ritengo che l’editoria attualmente non stia facendo il suo mestiere, esattamente come il sistema bancario, come denunciai al Festival dell’Innovazione 2012, nel quale fui invitato come innovatore. Laterza mi rispose che essa pubblica ancora opere valide, sottintendendo che chi non riesce a pubblicare non sia valido. Trovo che la suddetta equazione faccia acqua in virtù del fatto che essa non mi aveva neppure letto. Anche il Libro Possibile 2013 di Polignano a mare ha scartato l’unico libro che sono riuscito a pubblicare senza leggermi (sua dichiarazione). Nessun editore intervenuto all’Università di Bari aveva letto sufficientemente le opere presentate ed io non ebbi neanche in un solo caso la soddisfazione di presentare un’opera inedita che fosse stata già conosciuta. Immaginate la difficoltà di proporla ex abrupto in uno speed-date di 5 minuti. Ecco cos’è diventato il difficile lavoro degli editori: un processo sommario concluso in 5 minuti! Ho riportato questo esempio personale per giustificare l’impressione che mi sono fatto: l’editoria è subissata di troppo materiale. La crisi (vale anche per loro) la priva pure degli strumenti idonei per ravvisare, mediante una lettura critica approfondita, l’arte anche dove non si appalesa superficialmente ma è contenuta nel brio, nella sintassi, nell’estro e nella ribellione dell’autore, come dicono i più scafati. Ecco perchè il loro prodotto di talent-scoutismo, prima della mera revisione della bozza, è deprivato della necessaria analisi. Nell’arte non trovi la genialità e neppure il talento se non “nuoti” in un mare di tante gocce di semplice acqua per scovare, quando non te l’aspetti, la corrente sotterranea e fredda che ti porta ad una sorgente sapiente e pura. Aspettiamo la fine della crisi e che le banche tornino a fare il loro mestiere: somministrare il credito e gli editori a leggere bene le nuove proposte, sperando che anche i fornai non smettano di produrre il pane, cattivi emuli di un’economia classista e miope che rende beceri anche i più colti per mancanza di sostanze finanziarie.

  9. devilkirby ha detto:

    Il punto è che tutti possono prendere carta e penna scrivere: “Il sole è bello”. Mentre sono pochi quelli che possono prendere il pennello e disegnare un bel sole. Ecco che l’italiano medio insegue il sogno della scrittura, non comprendere che per rendere quel sole bello con la letteratura è tutt’altro che semplice

  10. Salvatore ha detto:

    A mio modesto parere il self-publishing non è un male, io personalmente l’ho sempre paragonato, come fenomeno, a quelle band musicali che, nate per passione in un garage, decidono di autoprodursi un demotape (il termine demotape dovrebbe tradire l’età non più tanto verde di chi scrive!) da inviare alle case discografiche in cerca di fortuna. Solitamente tra 1000 demotape ce n’è almeno uno degno di un ascolto. Così l’editoria. Il self-publishing ha permesso a chi “se la sente” (ok, forse un po’ troppi) di mettere su carta una propria idea e provare a farla conoscere.
    Altro discorso sono le grandi case editrici che si mettono a fare self-publishing per meri motivi economici. E’ come se la EMI da un giorno all’altro iniziasse a produrre demotape di liceali brufolosi dai capelli lunghi che sperano di diventare delle rockstar. Senza la certezza che questi sappiano fare almeno un giro di do.

  11. Carlo Zeuli ha detto:

    Molte persone sono tentate di parlare per luoghi comuni, intessuti di stereotipi. “Tanti scrivono ma pochi hanno qualcosa da dire” è uno di questi. Sicuramente è quello più in auge tra chi prende spunto da un generalismo per autoassolversi. Parlo degli editori. Purtroppo fa effetto anche su chi è soltanto ingenuo e non può discernere tra le fessurazioni di un principio talmente utilitaristico. La causa è sotto gli occhi di tutti: non si lascia alle persone alcuno strumento di autocritica e di analisi ma gli si impartisce dogmi. Questo sono i TG, questa è la TV in generale e non possono certo distanziarsi i giornali, anch’essi affetti da un’editoria consumistica e lottizzata da una bella fetta di capitalismo.
    Allora come se ne esce?
    Monitorando i risultati, vagliando il nesso causale tra causa ed effetto, aumentando il proprio senso critico leggendo ciò che non è schierato con la tesi prevalente.
    In pratica, esercitando quella materia grigia che ha attinto cromaticamente il suo pseudonimo, sempre più in questi anni, nelle sfumature del qualunquismo.
    Ci vuole coraggio ma soprattutto, sia che si faccia l’imprenditore della cultura o della patata (il riferimento a politici-imprenditori del ventennio appena trascorso è solo apparentemente casuale) non fa differenza, il coraggio di investire energia nelle sfide.
    Questo manca nel mondo moderno e, ancor di più, in occidente e in questa vecchia, vecchissima Italia: matrona claudicante dal passo incerto e ondivago tra il vecchio classico restaurato in una sola corservatoria dei Beni culturali e l’enfasi dell’innovazione male pronunciata da neologismi anglofoni quali “StartUp” in cui le giovani menti sono manovrate da registi-burattinai universitari, vecchi bacucchi paleoancorati alla “meritocrazia” di regime.

  12. Lucrezia Modugno ha detto:

    Molti sedicenti scrittori temono il giudizio altrui, mal sopporterebbero le critiche al proprio “lavoro”, non accetterebbero un giudizio negativo.
    Non lo sto supponendo, ma lo so, perché mia sorella fa da sé, senza case editrici a pagamento (che esistono da sempre, sto leggendo “Il pendolo di Foucault”), in formato e-book. Teme il giudizio, teme di dover cambiare qualcosa, di dover rivedere, essenzialmente perché a lei piace così quello che ha scritto, perché ha in mente una trama, un insieme che forse è chiaro solo a lei e che non è proprio chiaro a chi legge.
    La Mondadori segue la corrente: si guadagna così e quindi fa così. E’ come per la fotografia, ormai tutti comprano le reflex per poi usarle in funzione automatica, perché usare una reflex nella loro mente significa scattare foto bellissime. E’ un mezzo accessibile, come accessibile e veloce è pubblicare autonomamente.
    Prima ho citato “Il pendolo”. A me ha fatto tanto riflettere il monologo di Garamond, spiega benissimo come spillare soldi a questi poveri malcapitati. Da rileggere!

  13. Giovanni Turi ha detto:

    Temo di essermi un po’ perso tra le vostre considerazioni, ma cercherò di rispondervi in sintesi…
    CARLO, anch’io ritengo che l’editoria non stia facendo il suo mestiere, ma credo anche che a metterla in difficoltà (e a suggerirle di puntare sull’ambizione altrui per far cassa) siano anche i troppi aspiranti scrittori: un conto è avere qualcosa da dire (e non è poi così frequente), un altro saperlo fare – come sottolinea DEVILKIRBY. Ecco perché è fondamentale, come anche tu sostieni nel secondo commento “aumentare il proprio senso critico leggendo”.
    Quanto al self-publishing, SALVATORE, lo scrivevo anche a Silvia, non va demonizzato in sé, d’accordo, ma che siano i grandi editori a occuparsene è spia di qualcosa che non va. Dunque la vediamo più o meno allo stesso modo.
    Infine, LUCREZIA, un buon editor/staff editoriale aiuta un autore a trovare la propria voce, non è una manomissione. Quanto a Eco, lo avevo consigliato qui (https://giovannituri.wordpress.com/2013/03/06/dieci-opere-per-aspiranti-scrittori/) proprio per i motivi che tu sottolinei.

    GRAZIE A TUTTI per i riscontri e l’attenzione.

  14. Valentina ha detto:

    Non so, io non demonizzerei in toto il self-publishing soprattutto nel momento storico che viviamo. Mi spiego. L’orientamento attuale delle grandi e medie case editrici è quello di produrre o testi tradotti di autori già affermati all’estero o testi di personaggi più o meno noti, ma che hanno un corposo seguito, o nuovi testi di autori già affermati… insomma, si pubblica ciò che fa sì che il guadagno sia una certezza.
    Soldi da investire ce ne sono pochi, questo non solo per la pubblicazione vera e propria, ma anche per il percorso che servirebbe per accompagnare lo scrittore verso una definizione ottimale del testo e penso anche rispetto al budget che sarebbe necessario per impiegare risorse per la lettura e selezione degli inediti. Dunque, cosa accade? Accade che un esordiente che abbia voglia anche solo di un primo riscontro sulla sua opera non abbia canali “ufficiali” per poterla proporre e o rinuncia al proposito perché scoraggiato o, se è ingenuo, cede allo specchietto per le allodole della pubblicazione con case editrici a pagamento. Tralascio il mondo delle agenzie letterarie perché anche quello non fa che alimentare speranze proponendo editing onerosi e spesso inutili oppure tasse di lettura più o meno gravose. Il self-publishing può essere un modo per evitare di incappare in questi “spenna polli”e mettersi alla prova, magari non in modo definitivo, ma considerando questa esperienza un primo canale per tentare di cercare un riscontro senza per questo sentirsi uno scrittore di professione. Io trovo avvilente il fatto di rispondere a form che invitano a inviare manoscritti con la consapevolezza che quella sia solo una perdita di tempo e che, molto probabilmente, il manscritto inviato non verrà mai preso in considerazione. Per fortuna le case editrici pare si stiano facendo un esame di coscienza e richiedano sempre più invii digitali, almeno riducono il consumo di carta, inchiostro, plastica e fanno risparmiare quegli 8 euro che servono per la spedizione; tanto lo sanno che quelle mail verranno cestinate senza nemmeno essere aperte così come i manoscritti che in passato saranno arrivati avranno avuto la stessa sorte. Tutto ciò è triste, ma è la verità e la verità, anche se brutta, è sempre preferibile all’illusione. Buona giornata a tutti.

    • Giovanni Turi ha detto:

      Infatti non demonizzo il self-publishing, ma non credo vada confuso con una pubblicazione vera e propria (in cui ogni testo è, o dovrebbe essere, frutto di una selezione e risultato di un lavoro redazionale fatto gomito a gomito con l’autore); ciò che biasimo è la perdita da parte delle case editrici del proprio ruolo e temo che facendosi promotrici del mercato delle autopubblicazioni possano incrementare questa tendenza.
      Né ritengo giusto sottovalutare l’immane (e mal retribuito) lavoro di valutazione degli inediti che viene ancora fatto dai piccoli editori e da alcuni medio-grandi; senza considerare che spesso si ritiene valido un testo già in corso di pubblicazione con altri o che si scopre già presente su ilmiolibro e simili…
      Buona giornata anche a te. 😉

      • Valentina ha detto:

        Salve 🙂
        Non esprimevo disapprovazione verso il suo articolo che mi sembra sicuramente veritiero. Ho riflettuto “ad alta voce” su quello che può essere il self-publishing cercando di cavarne qualcosa di buono 🙂
        Sulle case editrici, spero vivamente che presto tornino a fare il loro mestiere e contribuiscano a creare lettori pensanti, dal sorriso intelligente e lo sguardo acuto e selettivo.
        Grazie per la risposta 🙂

  15. Un lettore scontento ha detto:

    Del resto il progetto è diretto da Repetti, direttore editoriale di Einaudi Stile Libero (gruppo Mondadori), marchio che ormai pubblica un testo decente ogni cinque/sei!

  16. Tale's Teller ha detto:

    L’ha ribloggato su il dilettevole dilettarsi del dilettantee ha commentato:
    Ecco…

  17. ip man ha detto:

    Da parte mia devo ringraziare mondadori e altre case editrici similari se la mia dieta letteraria si è tanto assottigliata negli ultimi 15 anni. E il portafogli ne beneficia

    • Carlo Zeuli ha detto:

      Vorrei ribattere al colto pensiero di Tale’s Teller che, nonostante io trovi argute le sue argomentazioni e condivisibili le questioni meritrocatiche che ha posto, penso che la democraticità della scrittura consista nella rispondenza del prodotto alle esigenze del mercato. Ciò esula da politiche editoriali di imprenditori più o meno selettivi. Con tale termine non intendo quell’imprenditoria da strapazzo che pone in capo alle esigenze del mondo della cultura i suoi parametri finanziari. Questa commistura mi offende. Intendo, però che, nel rispetto dei parametri economici (e non solo finanziari) di un imprenditore che fa l’impresario di una qualsiasi forma d’arte, l’obiettivo in cima alla scala delle finalità dell’impresa non possa essere solo il profitto e che sia il mercato stesso, ben educato al proposito, a imporre i propri parametri di qualità, comprando ciò che più risponde alla domanda e meno il resto. La democraticità letteraria io penso che, in una società evoluta alla quale l’Italia non appartiene ancora, insista nell’opportunità di ciascun aspirante scrittore (quale io sono) di occupare il livello che merita senza che taluni sedicenti operatori colturali gli taglino le gambe annullando quel poco di merito che hanno maturato pubblicando qualcosa e avendo scritto molto di più. Molti hanno qualcosa da dire ed è giusto che lo dicano nei termini e nei luoghi consoni alle proprie possibilità. Io penso di poter parlare a qualche lettore pur non sognando affatto di presentarmi al premio Strega! Pretendo, però che mi si consenta di lavorare per ambire anche lì. Se ci arriverò dovrà dipendere solo da me e non dai soliti personaggi che applicano più nepotismo che critica letteraria, come accade al Festival “Libro Possibile” di Polignano a mare, in cui pagano profumatamente chi non ha bisogno di pubblicità e porta con sè un nome da battage pubblicitario e stroncano chi vorrebbe soltanto un piccolo palco, in un orario sfigato già libero da ogni impegno, in una piazzetta minore. No, neanche quello. Ecco, questa è la casta falso-letteraria che io combatto e dal quale attingo ulteriori idee per scrivere, parlando a chi può apprezzare questa battaglia di democrazia culturale. Il mio scrivere è passione, sofferenza e ambizione. Posso ambire a fare un passo innanzi a quello in cui sono senza dover sentire personaggi che motivano la tua esclusione dal palcoscenico dicendo: “Non ho proprio letto la il tuo libro candidato”. Questo giudice si è autoqualificato come un imbecille blasonato ed io scriverò di lui con tutto il sarcasmo che riuscirò ad attingere dal mio calamaio.

      • Giovanni Turi ha detto:

        Carlo, quali sono le argomentazioni di Tale’s Teller a cui ti riferisci?
        Quanto a ciò che scrivi, ci sono diversi passaggi che non mi sono chiari: perché il mercato dovrebbe essere più competente degli addetti ai lavori nello stabilire il valore di uno scrittore? Con un’offerta indisciplinata il lettore come potrebbe orientare le sue scelte? E poi, stando alla tua logica, se fosse il mercato a decidere, allora sarebbe giusto che i Festival investano sui nomi di richiamo e non sugli sconosciuti.
        Anche il mio leggere è “passione, sofferenza e ambizione” e ritengo ci siano tanti professionisti nel mondo dell’editoria, forse più che nel mondo della scrittura.

        • Carlo Zeuli ha detto:

          Caro Giovanni, grazie per le tue domande. Mi riferivo, per analogia alla direzione delle mie risposte nell’intervento precedente, al seguente passaggio di Tale’s Teller: “Perché continuare a fomentare l’illusione (già innescata da Il mio libro e affini) che esista una “democrazia della pubblicazione” e che si siamo tutti scrittori?”. Infatti, per risponderti,io non ho detto che il mercato dovrebbe essere più competente degli addetti ai lavori, come tu hai pensato. Invece, io sostengo che esso, essendo il destinatario del prodotto editoriale, sia anche il naturale depositario della scelta di quello che gli è più consono. Si parlava di democrazia? Appunto! Se devo mangiare qualcosa (in senso letterario) voglio deciderlo io di cosa alimentarmi e qual’è il suo valore, magari consultandomi con gli esperti del settore. Ma io, in qualità di fruitore finale, non devo essere prevaricato da chi, ritenendo forse a ragione di saperne di più, mi vorrebbe superare nel diritto di scelta. Guarda Giovanni, a giudicare dall’esperienza appena vissuta proprio al Libro Possibile 2014, il mercato dei lettori e dei visitatori del Festival ha decretato un interesso stratosferico per “Grafologia per tutti” di Monica Bardi (nonchè la mia signora) che era stata per due anni esclusa dal Festival e che ha dovuto reintegrarla all’ultimo momento. Ovviamente non ha potuto scegliere il mio libro sia perchè difendo i nostri figli dalla casta dei giudici sia perchè ho bacchettato parecchio il festival. Tu potrai anche sospettare ragionevolmente che lo ha fatto perchè io non so scrivere (loro non lo sanno perchè ti ho già comunicato che hanno dichiarato di non avermi letto) ma io ragionevolmente posso credere il contrario. Poi è giusto convocare i nomi di richiamo e dargli la piazza principale, ma quello che io sostengo è di non spezzarmi le ali negandomi l’orario e il luogo meno ambiti. Magari riesco a popolare più densamente la piazzetta “sfigata” del nome di grido quella blasonata! Ma fammi provare, casta dei festival e dell’editoria. Mi spiego su cosa intendo per casta e cosa, invece, per “ali”? Sulla tua graduatoria a benificio dei “tanti professionisti nel mondo dell’editoria, forse più che nel mondo della scrittura” non commento perchè ritengo le classifiche così tristi e pretestuose da non meritare il nostro tempo. Infatti non avrei mai messo in dubbio la tua passione, ecc., ecc. che ho avuto modo di apprezzare in un’occasione in cui hai parlato in pubblico. Purtroppo tu non hai potuto ancora sentire parlare me, non per colpa tua ma delle caste che io combatto. Sono certo, conoscendo un poco il loro comportamento, che anche tu hai delle ali che si stanno rimarginando, ma forse non ti va di parlarne.

  18. Giovanni Turi ha detto:

    Ok, allora ti riferivi all’articolo, scritto da me e non da Tale’s Teller. 😉
    Come già accennavo, non può essere il mercato il depositario perché già così è ipertrofico…
    La mia, poi, non voleva essere una graduatoria (?!), era solo un cenno a una situazione che conosco.
    Prima o poi avremo magari modo di fare una chiacchierata e chissà che non si chiariscano i punti in disaccordo.

  19. Carlo Zeuli ha detto:

    Nessun disaccordo penso insista nelle nostre rispettive visioni. Solo, io sono un po’ più rivoluzionario. Sarà l’età!

  20. […] Self-publishing e altre chimere. […]

  21. Vania ha detto:

    Buonasera Giovanni,
    pensi un po’, ho trovato questo suo interessante articolo tre anni dopo la sua pubblicazione; in tre anni sono cambiate diverse cose e il self-p sta avendo un successo crescente, direi pandemico.
    Sicuramente non si può non essere d’accordo con quanto lei dice, ma molti successi editoriali degli ultimi anni dicono che il self non è sempre una chimera, anzi, a volte rende al mondo degli scrittori con numeri di vendita impressionanti e anche discreta qualità; persone che altrimenti non avrebbero mai pubblicato, proprio perché solitari e inabili al personal branding di cui lei parla.
    Personalmente ho letto diversi libri auto pubblicati più che meritevoli, più di molte pubblicazioni di piccole case editrici, interessate alla vendita al micro-dettaglio e disposte a pubblicare indecenze vere e proprie. Purtroppo per deformazione professionale mi pesano le bastonate dei punti esclamativi in eccesso.
    Scherzi a parte, direi che la soluzione potrebbe essere quella di formare gli aspiranti scrittori e gli stessi lettori. Se auto produzione deve essere, che almeno non sia solo in sfumature di grigio, ma si adoperi un po’ di consapevolezza e di decenza.
    Ecco, magari, imparare a far riferimento a bravi editor che possano supportare l’auto pubblicazione con il giusto lavoro; spendendo qualcosa per trovare supporto in professionalità adeguate, formate e preparate.
    Noi lettori non possiamo che sperare che gli aspiranti scrittori comprendano a pieno il valore della fondamentale intermediazione di un buon editore (anche quelli, ormai, merce rara).
    Saluti

    • Giovanni Turi ha detto:

      Vania, grazie innanzitutto per il suo contributo.
      In effetti il post è un po’ datato, ma a me non è ancora capitato di leggere testi autoporodotti davvero significativi, né credo siano poi così tanti quelli che hanno avuto successo (soprattutto in relazione ai numeri del fenomeno).
      Chi poi è “solitario e inabile al personal branding”, senza uno staff editoriale, credo abbia ancor meno chance.
      Vero è anche che ci sono stampatori che pubblicano indecenze, ma raramente le case editrici vere e proprie (soprattutto se medio-piccole) scendono sotto una certa soglia.
      Però mi riprometto di riflettere ulteriormente su quanto ha scritto.
      Grazie ancora e buon anno.

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