Il caso Isbn e la fragilità del sistema editoriale

Libri-al-maceroSe pubblicare libri significativi non basta a stipendiare autori e collaboratori, allora che senso ha il lavoro editoriale?

Ricapitoliamo. A ridosso del Salone del Libro di Torino è esploso il caso Isbn Edizioni, con la denuncia attraverso twitter dello scrittore Hari Kunzru riguardo al mancato pagamento dell’anticipo a sua moglie Katie Kitamura, autrice di Knock-out: tradotto da Vincenzo Latronico e tra gli ultimi libri pubblicati dall’editore milanese (il cui catalogo è fermo all’autunno 2014).
Prima che i toni si placassero un po’ e che lo stesso Massimo Coppola, direttore editoriale di Isbn, provasse a fare chiarezza e autodenunciare errori e ammanchi, si è scatenata una campagna denigratoria virulenta e aggressiva, in cui anche le ragioni dei legittimi creditori sono a tratti finite in secondo piano nel marasma generato dalla frustrazione per un sistema editoriale fragile e incapace di garantire un reddito seppur minimo a molti di coloro che vi gravitano intorno (tema sottolineato di recente da un bell’articolo di Federica Aceto riproposto da minima&moralia). Sono trascorsi un po’ di giorni prima che qualcuno, come Christian Raimo (sempre su minima&moralia), si soffermasse a riflettere con maggiore oggettività sulla situazione o riconoscesse anche i meriti di Isbn, come l’autore Omar Di Monopoli sul suo blog Sartoris o come Simona Ardito, da lettrice e professionista del settore editoriale, su Prestazione occasionale.
Sono tanti i temi su cui sarebbe utile ragionare, anche indignandosi, anche arrabbiandosi, meglio però se non per demolire ma per provare a riflettere e a cambiare qualcosa. Occorre infatti rilevare, ad esempio, che sia Isbn sia Voland (al centro anch’essa di qualche polemica riguardo ad alcune insolvenze) hanno comunque scelto di non praticare la scappatoia del fallimento e hanno pubblicato autori e testi di incomparabile valore letterario che i critici e i lettori hanno ingiustamente e colpevolmente snobbato, rendendo vani investimenti talvolta cospicui (si pensi alla pubblicazione delle opere di Philippe Djian). Occorre tener conto che l’ambito editoriale non è l’unico in cui i giovani professionisti (o presunti tali) abbassano le tariffe in modo irragionevole pur di entrare nel giro, giungendo talvolta paradossalmente a farsi “retribuire” in visibilità ed esperienza e innescando così meccanismi perversi da cui nessuno sfugge. Occorre rinunciare a facili capri espiatori, perché chi lavora con i libri sa quanto marciume rimane ancora e comunque occultato, anche lì dove si proclamano trasparenza e passione. Occorre domandarsi perché in tanti continuino a voler lavorare in ambito editoriale pur consapevoli delle difficoltà cui vanno incontro, quando non all’impossibilità di realizzarsi professionalmente a prescindere dal talento e dalle competenze acquisite.
Mi auguro, insomma, che quanti attendono ancora la retribuzione del proprio lavoro la ottengano quanto prima, che gli altri la finiscano di alzare polvere, magari compiaciuti del fatto che a venir fuori siano state le magagne altrui, e che ci si interroghi su un problema non meno serio e che riguarda tutti: in Italia pubblicare libri significativi non è sufficiente a venderne abbastanza per coprire le spese e allora ci si inventa formule di contribuzione a carico dell’autore, ci si dà alla formazione (di futuri disoccupati) e ad altre attività collaterali, si diventa insolventi o si danno alle stampe opere per lettori di poche pretese – soluzione non sempre vincente e che per chi crede nella Letteratura equivale più o meno a prostituirsi.

16 thoughts on “Il caso Isbn e la fragilità del sistema editoriale

  1. Guido Sperandio ha detto:

    Quadro perfetto. Non vedo però rimedi e ritengo anzi che la situazione sia destinata a peggiorare. Ferma una legge che ritengo valida in ogni campo: l’erba cattiva scaccia quella buona.

    • Giovanni Turi ha detto:

      È vero, ma non voglio e non posso credere che professionisti e lettori possano accettare passivamente tutto questo…

      • Guido Sperandio ha detto:

        Ci vedo un fenomeno innanzitutto sociale, i rivoluzionari cambiamenti nel giro di questi ultimi anni, dalla pseudo-alfabetizzazione acquisita da strati sempre più ampi alla tecnologia che ha dato voce anche a chi non si sarebbe mai sognato di disporne. Vedi non solo la letteratura, ma anche la fotografia ad esempio.
        Si è creato un’industria e quindi un mercato, di massa.
        Questo è il tempo in cui il pane si butta! Va bene ancora se lo si dà ai piccioni per non sprecarlo. Mentre il pane era sacro. Era addirittura un simbolo, un rito. Per chi lo produceva e chi lo consumava. Così un libro era sacro.
        Viviamo nel tempo delle “brioscine” prodotte dalle catene di montaggio.

  2. Loredana ha detto:

    Le chiacchiere stanno a zero: o si è professionisti o si è aspiranti morti di fame. Il professionista non lavora per meno di cinquanta euro netti a cartella: per meno, non è più possibile dirsi professionisti ma solo poveri allocchi che si fanno sfruttare e vanno verso un destino di miseria.
    Perciò il problema non si pone: o sono i professionisti dell’editoria a stabilire, volta per volta, i compensi che ritengono opportuni per i lavori che gli vengono proposti, oppure tanti saluti al settore editoriale e che andasse pure in fallimento.
    Non ha senso martirizzarsi sull’altare della cultura, anche perché tanto, prima o poi, si pongono problemi di qualità della vita a cui nessun individuo può sottrarsi.
    Continuare a darsi le arie da “professionisti” quando si lavora per pochi spiccioli, o addirittura gratis, è ridicolo, oltre che patetico.
    Perciò delle due l’una: o gli editori sono in grado di garantire ai lavoratori del settore dei compensi adeguati alle loro preparazione e aspettative di vita, o andassero in malora loro e i loro bei libri che nessuno legge.

  3. Loris Righetto ha detto:

    A volte bisogna anche venire a patti con la situazione: se credi nella letteratura -mica nell’editoria, intendo nella letturatura: nelle storie, nei saggi, nelle poesie- può anche darsi che tu debba trovarti un doppio lavoro che ti permetta di guadagnare abbastanza per dedicare del tempo e dei denari al campo delle tue passioni. Per altro, chiunque abbia letto libri come Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf sa bene che la rendita mensile è ciò che le ha permesso di vivere di editoria. Chi crede di campare di libri è ingenuo. Qualcuno ce la fa e il mio augurio sincero è che ce la facciano tutti quello che lo desiderano; il dato statistico dice che è normale non riuscirci.

  4. Guido Sperandio ha detto:

    Chiedo scusa per l’intrusione, ma non sono riuscito a trattenermi: condivido infatti questo commento pienamente, anzi mentre scrivevo il mio commento sopra, avevo anche ben presente questo aspetto qui espresso esattamente corrispondente al mio pensiero e in modo semplice e chiaro.
    Io sopra, da parte mia, l’ho omesso per ragioni di spazio.

  5. enrico bertorotta ha detto:

    desertificazione del paesaggio e dell’orizzonte culturale. Irreversibile, drammaticamente irreversibile! Impoverimento dei desideri e delle aspirazioni culturali, asservimento dei mezzi mediatici a chi paga di più…cosa vogliamo? Quando la Scuola, motore primo per promuovere conoscenze e interessi, viene ridotta a macerie di se stessa, cosa vogliamo? Dura è la vita di chi ancora crede e lotta per operare onestamente nel settore della Cultura (con la “C” maiuscola), specialmente se dietro non ha le spalle coperte come alcuni manipolatori di casa nostra. E’ difficile pubblicare un autore che ancora può dire qualcosa quando gli spazi per farlo conoscere al poco pubblico che rimane sono sempre più ristretti…Ho grande ammirazione per loro, un affetto straziato!

  6. felicemuolo ha detto:

    Per risolvere il problema, basta considerare l’anticipo, simbolico o meno, come unica retribuzione per un determinato numero di copie stampate. E, a ogni ristampa, procedere in modo analogo.

  7. Daniela Di Sora ha detto:

    Ringrazio Giovanni Turi che mi dà l’occasione di precisare una cosa: come forse qualcuno sa, qualche tempo fa è nata una polemica anche a proposito di ritardi nei pagamenti da parte di Voland. Ho scelto non solo di non fallire, e di non fare operazioni dubbie, come chiudere la casa editrice e riaprirne un’altra con un nome leggermente differente, ipotesi pare praticata spesso. Ho scelto, dicevo, di vendere un appartamento di mia proprietà. E ho altresì scelto di pagare per primi traduttori, collaboratori, tipografi. Mentre con le banche e con Equitalia ho scelto di rateizzare. Sono pazza? forse. Credo che il lavora vada retribuito e spero di continuare a servirmi di buoni collaboratori.
    Detto questo va precisato che una crisi come quella che è scoppiata negli ultimi tre anni nel settore dell’editoria non si è mai vista, e le cause sono molteplici. Facebook, twitter che succhiano il tempo altrimenti dedicato alla lettura, librerie che chiudono e non pagano, distributori che chiudono, prenotazioni bassissime, ebook scaricati illegalmente. Forse si parla troppo e con poca conoscenza di quello che sta avvenendo nel settore. Sarebbe utile discuterne più serenamente, prima di finire tutti a leggere un unico e solo libro.

  8. Guido Sperandio ha detto:

    Richiedo scusa per la mia rinnovata intrusione, Giovanni Turi non me ne voglia, ma la case-history di Daniela Di Sora mi era troppo stimolante e intrigante.
    Peraltro, questo suo passo è indicativo e sintetizza:
    “una crisi come quella che è scoppiata negli ultimi tre anni nel settore dell’editoria non si è mai vista, e le cause sono molteplici. Facebook, twitter che succhiano il tempo altrimenti dedicato alla lettura, librerie che chiudono e non pagano, distributori che chiudono, prenotazioni bassissime, ebook scaricati illegalmente.”

  9. newwhitebear ha detto:

    Due sono a mio avvisi i problemi. Il primo è la grande concentrazione del potere editoriale in poche mani, leggi grandi gruppi, che lasciano le briciole agli altri. Il secondo è che si pubblica troppo e troppo spesso di pessima qualità.
    Aggiungo anche che la qualità di stampa, intesa come prodotto, lascia alquanto a desiderare. Errori, refusi, traduzioni che paiono usciti da Google traduttore, insomma molta improvvisazione.
    Comunque non è pensabile che pochi gruppi, tre o forse quattro, spolpino il mercato con le loro politiche aggressive.

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