Fabio Geda – Professione scrittore 8

Fabio-GedaFabio Geda ha esordito nel 2007 con Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani (Instar libri) – ripubblicato poi da Feltrinelli. Sono seguiti: L’esatta sequenza dei gesti (Instar libri), Nel mare ci sono i coccodrilli (Baldini&Castoldi), La bellezza nonostante (Transeuropa), L’estate alla fine del secolo (Baldini&Castoldi). Collabora con «La Stampa» e con altri periodici; è docente della Scuola Holden.

Quando e perché hai iniziato a scrivere?
Non ricordo esattamente quando ho cominciato a scrivere. So di avere scritto un racconto in terza liceo che venne pubblicato dal giornale della scuola (all’epoca amavo molto Stephen King, per cui scrissi un raccontino semi-horror: un preadolescente che resta a casa da solo, la sera, e avverte inquietanti presenze), ma credo che la passione per la narrazione risalga alla scuola elementare. Il fatto è questo: ho sempre amato le storie. Ogni tipo di storia. E qualunque mezzo fosse usato per raccontarle: il teatro, la musica, il cinema, la fotografia, il fumetto. E naturalmente la letteratura. Tra i quindici e i trent’anni ho provato un po’ di tutto. Ho costruito una camera oscura con un’amica per poter sviluppare le foto che facevamo. Ho fatto teatro. Ho imparato a suonare la chitarra (e naturalmente ho subito cominciato a scrivere testi di canzoni). E tentavo di scrivere romanzi (romanzi, non racconti). E alla fine, da questo periodo sperimentale, ne sono uscito convinto che la cosa che mi veniva meglio era proprio scrivere. Così mi sono concentrato su quello. Perché scrivo? Be’, potrei banalmente dire: perché non posso farne a meno. Mi trovassi su un’isola deserta, senza nessuno cui far leggere le mie storie, passerei comunque del tempo a scrivere. Se non a scrivere su un foglio, per lo meno a scrivere nella mia testa. Scrivo per comprendere me stesso. Scrivo, come diceva Calvino, per rimettere in circolo pensieri ed energie che altri prima di me hanno indagato e diffuso, e che mi sono arrivati attraverso le loro opere: pensieri ed energie il cui fuoco non voglio vada perso e che quindi continuo ad alimentare. Scrivo (e per lo stesso motivo leggo) per vivere vite altre: ciascuno di noi non può che essere se stesso nel corso della propria vita. L’unico modo che abbiamo per viaggiare nel tempo e nello spazio vestendo nuovi panni, con nuovi nomi, con nuovi corpi, sono le storie. Da ogni libro che scrivo, così come da ogni libro che leggo, esco trasformato. Ecco, potrei dire che scrivo perché amo le mutazioni, e la complessità.

Come hai trovato l’editore con cui hai esordito (Instar libri) e in che modo è poi nato il rapporto con Baldini&Castoldi?
Nell’inverno del 2005 cominciai a scrivere la storia di un ragazzino romeno che viaggiava in Europa per cercare suo nonno che faceva l’attore di strada. Quando lo terminai, verso aprile, pensai che era la cosa meno schifosa che avessi mai scritto. La prima che forse non mi sarei vergognato di far leggere a qualcuno (scrivevo da oltre quindici anni ormai, ma non avevo mai e dico mai fatto circolare le mie cose: ero consapevole del fatto che fossero pessime). Così, dopo averlo lasciato ancora un po’ nel cassetto, dopo averlo letto e riletto (tolta la virgola, come dice Carver, e poi rimessa esattamente dove l’avevo tolta) ne ho fatto dieci copie, ho scelto dieci piccoli e medi editori di cui ero assiduo lettore e che sapevo pubblicare narrativa tipo quella che io tentavo di fare e ho spedito il manoscritto. Pensavo di aspettare mesi e mesi. Invece nell’arco di un mese e mezzo sia Instar Libri sia Marcos y Marcos mi hanno contatto. Scelsi la Instar per il semplice fatto che erano arrivati prima, e poi perché erano (sono) torinesi come me e mi piaceva l’idea, per l’esordio, di giocare in casa. Alla Instar incontrai Francesco Colombo (editor) che dalla casa editrice torinese passò poco dopo alla milanese Baldini&Castoldi. Io pubblicai prima un secondo romanzo con la Instar, poi, visto che con Francesco avevamo conosciuto un ragazzino afghano che si chiamava Enaiatollah Akbari e che lui, Francesco, continuava a dirmi che ero la persona giusta per raccontare la sua storia, quando alla fine decisi di farlo mi sembrò normale pubblicarlo da lui, alla Baldini&Castoldi.

La collaborazione con Francesco Colombo è dunque proseguita?
Sì, con lui ho anche lavorato al terzo libro (Nel mare ci sono i coccodrilli), al quarto (L’estate alla fine del secolo) e sto lavorando al romanzo che uscirà per Einaudi a fine maggio. Perché nel frattempo Francesco si è spostato all’Einaudi e visto che anch’io a questo punto avevo voglia di crescere e di provare l’ebbrezza dei grandi gruppi editoriali mi sono detto: sai che c’è? Potendo scegliere tra diverse grandi case editrici, vado non solo in una di quelle che in ogni caso stimo di più, ma vado in quella in cui c’è Francesco, così posso continuare a lavorare con lui. Inutile dire che avere un buon editor è fondamentale, e io non solo ho uno dei migliori editor italiani, ma ho anche un editor che mi conosce a fondo, conosce i miei tic, le mie debolezze e le mie qualità, che capisce dove voglio andare a parare, e con delicatezza e sincerità sa mettere il dito nella piaga e farmi vedere gli elementi di fragilità che io, da solo, non sarei stato in grado di cogliere.

La grande popolarità ottenuta con Nel mare ci sono i coccodrilli ha cambiato qualcosa nella tua vita?nel mare ci sono i coccodrilli_geda
Certamente. Anzitutto mi ha regalato la chance di tentare di fare davvero questo mestiere, ossia di vivere raccontando storie (che non vuol dire vivere solo di libri venduti, ma di tutto un indotto di lavori e progetti generati dal fatto di essere un autore conosciuto). Contemporaneamente mi ha anche donato una dolorosa gastrite che è durata un paio d’anni, dovuta al dover gestire una situazione che non ero preparato a gestire. E avendo trasformato una passione in un mestiere ha modificato il mio modo di vivere l’atto creativo. Non in peggio, non in meglio: semplicemente lo ha mutato. Ma come dicevo prima, io amo le trasformazioni. Così, invece di scappare, ho abbracciato il cambiamento con il quale ancora oggi, a quattro anni dall’uscita del libro, sto facendo i conti. Che dire? Tutto questo è entusiasmante.

Quali sono i tuoi modelli letterari?
A questa domanda rispondo usando le parole di Bernard Malamud, ti spiace? Ecco cosa ha scritto lo scrittore newyorchese, autore di romanzi capolavoro come Il commesso (edito in Italia da Minimum Fax): “Storie, storie, storie: per me non esiste altro. Spesso gli scrittori che non riescono a inventare una storia seguono altre strategie, perfino sostituendo lo stile alla narrazione. Invece io sono convinto che la storia sia l’elemento di base della narrativa, anche se questo ideale non gode di molta popolarità tra i discepoli del nouveau roman. Mi ricordano quel pittore che non riusciva a dipingere le persone, così dipingeva sedie. Le storie ci accompagneranno finché esisterà l’uomo. Lo si capisce, in parte, dall’effetto che hanno sui bambini. Grazie alle storie i bambini capiscono che il mistero non li ucciderà. Grazie alle storie scoprono di avere un futuro”. Ecco qui. Ecco chi sono i miei modelli letterari: i narratori puri. Quelli che hanno una storia da raccontare e che la sanno raccontare bene.

Un consiglio agli aspiranti scrittori?
Vivere intensamente. Scrivere tanto. Leggere bene. Vivere intensamente perché senza curiosità, senza passione per l’uomo, non ci sarà nulla di incandescente, dentro di te, che varrà la pena trasportare sulla pagina. Scrivere tanto perché solo scrivendo si capisce cosa si è in grado di scrivere (si scrive ciò che si può, non ciò che si vuole). Leggere bene, perché se si vuole andare a bottega dai grandi maestri della narrazione, be’, solo leggendo attentamente le loro opere si riuscirà a intuire qualcosa della magia che le attraversa. Conosco molte persone che leggono tanto, ma leggono male. Meglio leggere qualche libro in meno – se vuoi fare lo scrittore, s’intende – ma ciò che si legge leggerlo con cura, provando a smontare il motore di quelle meravigliose macchine narrative capaci di farti scordare chi sei, dove sei, di trasformarti in altro da te, e qualche volta, se sei in treno, persino di scendere alla stazione dove sei atteso.

Qui le precedenti interviste a Omar Di Monopoli (ISBN Edizioni), Elisa Ruotolo (Edizioni Nottetempo), Paolo Cognetti (minimum fax), Ignazio Tarantino (Longanesi), Flavia Piccinni (Fazi, Rizzoli), Francesca Scotti (Italic, Terre di Mezzo),  Antonella Lattanzi (Einaudi Stile libero):
https://giovannituri.wordpress.com/category/professione-scrittore/

2 thoughts on “Fabio Geda – Professione scrittore 8

  1. amanda ha detto:

    storie storie storie 🙂 condivido

  2. Silvia Pareschi ha detto:

    Grazie, bella intervista. D’altronde non poteva essere diversamente, con un bravo scrittore e una bella persona come Fabio Geda.

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