Francesco Permunian ha esordito nella narrativa con Cronaca di un servo felice (Meridiano zero), a cui è seguito Camminando nell’aria della sera (Rizzoli): opere ora riviste e confluite in Costellazioni del crepuscolo (il Saggiatore). Altri suoi romanzi sono stati pubblicati da Diabasis e Nutrimenti e il suo nome figura nell’antologia, curata da Andrea Cortellessa, Narratori degli Anni Zero (prima edizione Ponte Sisto, seconda L’orma).
In Cronaca di un servo felice il narratore, abbandonato dalla moglie fedifraga, si è ridotto ad assistere la pretenziosa suocera, un tempo avvezza a ogni eccesso e ormai invalida; pagina dopo pagina però, il lettore inizia a dubitare della sua lucidità, ritrovandosi invischiato nei sui incubi. Costellazioni del crepuscolo, da cui deriva il titolo dell’intero volume, è un interludio composto da riflessioni, micro-racconti e visioni dell’autore, permeati di quell’amara ironia che caratterizza Camminando nell’aria della sera; quest’ultimo è un romanzo composto da brevi narrazioni che hanno per protagonista un medico che ci racconta le tragicomiche esistenze dei suoi compaesani e il suo approssimarsi alla vecchiaia. Ad accomunare i tre testi sono un sentimento di solitudine e l’affiorare della follia in ogni sua gradazione, dal patologico al bizzarro, oltre che la scrittura di Permunian, che costeggia l’oscurità dalla quale talvolta riesce a discostarsi con un sorriso. Continua a leggere
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PASSI di Jerzy Kosinski, recensione – About short stories
Jerzy Kosinski e la fenomenologia dell’abbrutimento
Passi (Elliot Edizioni, traduzione di Vincenzo Mantovani) è da molti considerato il capolavoro di Jerzy Kosinski, scrittore di origine polacca e statunitense di adozione, morto suicida nel 1991. Passi non è un romanzo, sebbene taluni lo definiscano tale, ma una successione di crudeli frammenti narrativi, scritti in prima persona, che compongono una sorta di fenomenologia dell’abbrutimento: non vi è mai una condanna, un giudizio, è come se ogni morale venisse sospesa in un’osservazione distaccata che si traduce in una prosa algida e lacerante.
Non è difficile immaginare lo scalpore che destò l’opera quando venne pubblicata, nel 1968, dal momento che ci sono dialoghi sulla fellatio e amori adulteri vissuti con disinvoltura, stupri di gruppo e di “altro tipo” (una ragazza per scommessa viene sottoposta alle voglie di un animale), vendette atroci compiute sui ignari bambini e giochi dagli esiti mortali, violenze fisiche e psicologiche, irrisione delle gerarchie militari e delle norme del vivere civile. Continua a leggere
“Hotel a zero stelle”, la ribellione di Tommaso Pincio
Hotel a zero stelle di Tommaso Pincio è stato pubblicato nella collana Contromano della Laterza già da un paio d’anni, ma ha ancora senso parlarne, perché le opere capaci di rivelare cosa possa rappresentare la letteratura e quale ne sia il senso sono rare e immensamente preziose: Hotel a zero stelle, infatti, non intende stabilire un canone narrativo, ma semplicemente sottolineare come l’arte possa compenetrare le nostre esistenze, porgendoci delle chiavi interpretative e donandoci dei compagni di viaggio. E che l’intento dell’autore fosse di andare oltre il raccontare se stesso per tendere una mano verso gli altri, me lo ha confermato un breve scambio privato in cui Pincio ha tenuto a precisare che «l’idea era quella di costruire una specie di autobiografia spirituale attraverso gli spiriti altrui. In questo senso, il libro voleva essere un invito per il lettore; l’invito a costruirsi un proprio albergo, o una propria dimora (se preferisce), con i suoi ospiti, con i suoi percorsi, con i suoi personali inferni e paradisi».
Nelle prime pagine, dopo aver riportato le parole di Mario Vargas Llosa: «Scrivere un romanzo è una cerimonia che somiglia allo strip-tease», Pincio chiosa: «Cosa volesse intendere è facile intuirlo: scrivere è, almeno in teoria, un po’ come denudarsi, mostrare la propria anima. […] C’è però una differenza di non poco conto tra le ragazze illuminate da “impudichi riflettori”, intente a liberarsi con sapiente lentezza dei vestiti, e gli scrittori che scrivono romanzi. Alla fine della loro performance queste fanciulle sono realmente nude, mentre a romanzo compiuto lo scrittore è vestito di parole». Lasciamo da parte la questione se Hotel a zero stelle sia o meno un romanzo, perché sarebbe oltremodo complesso stabilirlo, e accontentiamoci di definirlo pura Letteratura (o se si preferisce “autobiografia spirituale”, come sintetizzato dall’autore); si ponga invece attenzione a quanto Pincio sottende, quasi volesse metterci in guardia sulla veridicità degli episodi autobiografici che sembra rivelarci: davvero la sua giovane madre ha tentato il suicidio mentre lo portava in grembo? Realmente ha rischiato di morire per overdose? Non ha poi troppa importanza, perché è comunque autentica la sua vocazione a dimorare nel non-luogo di questo albergo «i cui ospiti tipo dovrebbero essere i vagabondi dell’anima», strutturato su quattro piani «perché ognuno ha il suo modo personale di perdersi così come ha un proprio inferno, un proprio purgatorio, un proprio paradiso» – chiaro e non unico richiamo dantesco. Continua a leggere
Tommaso Landolfi, PREMIO LETTERARIO (in DEL MENO)
«Che cosa pensa dell’ultimo libro di?…».
«Non l’ho letto».
«Capisco, non vuol compromettersi».
Eppure lui il libro in questione davvero non l’aveva letto: da tanto tempo ormai se ne infischiava, ossia disperava, dei libri e della letteratura.
[…]
Che cosa, in definitiva, pensava lui di quegli uomini? Nulla, si faceva lecito di pensare; soltanto, che essi gli erano incomprensibili, estranei, remoti. Prendevano sul serio, prendevano a cuore le idee o teorie del tal saggista, le amabili fantasie del tale narratore, le severe sentenze ritmiche del tale poeta, e quasi quasi se ne nutrivano… Li invidiava, piuttosto, sempre meglio riconoscendo la sua propria abiezione, il suo colpevole abbandono, la sua inesplicabile miscredenza.