Enrico Prevedello ragiona sulla difficoltà con cui ci si approccia alla letteratura durante la quarantena e sulla portata sociale e relazionale del mutamento in atto
Fin dal primo giorno di isolamento forzato ho avuto difficoltà a leggere e a scrivere. Per più di un mese ho pensato fosse un problema solo mio, ma ultimamente ho letto varie interviste in cui scrittori che ammiro hanno manifestato lo stesso sintomo, in particolare mi è stato utile l’intervento di Cristò, Zardi e Macioci: Scrivere nella pandemia. Ho pensato: se questa difficoltà a entrare in relazione con le storie è condivisa, si potrebbe cercarne la motivazione nel modo in cui comprendiamo e costruiamo il mondo delle narrazioni. Allora ho ripreso in mano la tesi di laurea del 2010 con tema “narrativa e neuroscienze” e l’11 settembre come evento criptico da decifrare attraverso l’analisi di tre romanzi americani (L’uomo che cade di Don DeLillo, Follie di Brooklyn di Paul Auster, La strada di Cormac McCarthy). In poche parole, il romanzo viene inteso come strumento cognitivo utile a comprendere la realtà perché attiva gli stessi processi neurologici con cui comprendiamo e costruiamo il mondo che chiamiamo reale. Alcuni passaggi mi sono stati utili a tentare l’interpretazione che segue. Continua a leggere