Río Fugitivo, il nuovo romanzo del boliviano Edmundo Paz Soldán pubblicato da Fazi nella traduzione di Carla Rughetti
Edmundo Paz Soldán, oltre che scrittore, è docente universitario di Letteratura latinoamericana e Río Fugitivo si pone subito, come sottolinea Juan Gabriel Vásquez nell’Introduzione, sotto il nume di Mario Vargas Llosa, ma gli echi della tradizione letteraria del Sud America in quest’opera sono davvero innumerevoli, da Gabriel García Márquez a Roberto Bolaño Ávalos; lo stesso giovane protagonista, aspirante scrittore, afferma: «Vargas Llosa era il mio mito, volevo – voglio – scrivere della Bolivia come lui scriveva del Perù». Ma più ancora della letteratura è centrale nel romanzo l’attitudine che ha ciascuno di noi a trasfigurare la propria e le altrui vite raccontandole, soprattutto durante la giovinezza: «Eravamo macchine da racconto in costante movimento, dovevamo raccontare storie perché un pezzetto della nostra vita acquisisse significato. Senza un racconto, l’esperienza vissuta non poteva essere elaborata».
Di storie dunque al Don Bosco, istituto d’élite frequentato da Roberto e dal fratello Alfredo, se ne riferiscono tante, soprattutto sugli insegnanti e sui compagni di classe, tutti concentrati sul proprio piccolo mondo, mentre la situazione politico-economica del Paese diventa sempre più critica – siamo nella Bolivia dell’iperinflazione e degli scioperi a oltranza dei primi anni Ottanta. A estraniare ulteriormente il protagonista-narratore dalla realtà contribuisce anche la sua passione per i romanzi gialli e polizieschi, che lo porta a immaginare una città, Río Fugitivo, in cui ambienta i suoi racconti (plagiando i classici del genere) e in cui trova asilo quando non ha voglia di confrontarsi con gli altri e con quanto lo circonda. Continua a leggere