Eclissi, il nuovo romanzo di Ezio Sinigaglia a trent’anni da Il pantarèi
Ezio Sinigaglia lavora da sempre con la scrittura: l’aletta del suo ultimo romanzo ci riferisce che è stato redattore, traduttore, fotocompositore, copywriter, ghostwriter, autore di guide turistiche e docente di scrittura. Ma è una persona talmente schiva che in pochi conoscono il suo nome – e dal suo esordio con il metaromanzo Il pantarèi sono trascorsi trent’anni. Eclissi, pubblicato da Nutrimenti, giunge dunque come un dono inatteso e insperato.
È la storia del bilancio esistenziale che il triestino Eugenio Akron, protagonista quasi settantenne, decide di compiere su un’isola del Mare di Norvegia, dalla quale sarà possibile assistere a un’eclissi totale di Sole durante l’equinozio di primavera. È vedovo da tre anni e non riesce ad abituarsi alla perdita della moglie, ma gradualmente emergerà come il suo turbamento abbia radici più profonde: saranno la suggestione dei luoghi che visiterà e l’incontro con un’anziana americana a farle riaffiorare. Quel che sorprende di Eclissi, però, è innanzitutto l’impeccabile eleganza stilistica con cui Sinigaglia descrive sentimenti delicati o tratteggia atmosfere e paesaggi, la capacità di rendere il modo sporcato e vivido con il quale ci si esprime in una lingua straniera, la garbata ironia con cui delinea il rapporto tra uomini e donne e tra figli e genitori.
C’è poi qualcosa che accomuna Eugenio a ciascun lettore, è la domanda sul senso del susseguirsi dei giorni; Sinigaglia non ha la presunzione di formulare una risposta, ma non rinuncia a concedere al suo protagonista qualche tregua: «Akron stava vivendo […] un quarto d’ora di felicità così toccante nel presente e, insieme, di così felice attesa del futuro da sentirsi ricompensato, all’improvviso e in un istante solo, dell’immane fatica che aveva dovuto sostenere per restare al mondo tanto a lungo».
Qui di seguito l’intervista a Ezio Sinigaglia.
Come nasce la storia di Eugenio Akron e cosa ha determinato il lungo intervallo che separa Eclissi dal suo primo romanzo?
Devo subito sgombrare il campo da un possibile malinteso, che affiora di tanto in tanto nelle domande che mi vengono rivolte. Dalla pubblicazione del Pantarèi (1985) a quella di Eclissi (2016) sono trascorsi più di trent’anni di silenzio, è vero. Ma si tratta di un silenzio squisitamente editoriale, non di un silenzio della penna o della tastiera, o di una sorta di afasia letteraria. Tutt’altro: ho scritto parecchio, in quei trent’anni. Se gli scrittori numerassero i loro lavori come sono soliti fare i musicisti e Il pantarèi fosse il mio opus 1 (con conseguente damnatio memoriae degli insulsi scritti giovanili), Eclissi sarebbe come minimo l’opus 10, trascurando una notevole massa di opere incompiute e un paio di lavori in corso. Non è forse moltissimo, e sarebbe stato sicuramente di più se non avessi dovuto scrivere tante altre cose per sbarcare il lunario, ma a conti fatti non è neppure poco. Non ho ragione di lamentarmene, e ormai ho smesso di rammaricarmi anche della sfortunata sorte toccata al Pantarèi, che certo meritava qualcosa di più dei venticinque lettori che ha avuto. Tuttavia è proprio in questa sorte sfortunata del mio romanzo d’esordio che va individuata la spiegazione della mia scelta: continuare a scrivere senza mai più cercare un editore.
Il pantarèi fu pubblicato nel 1985 da un piccolo editore coraggioso, SPS, ma era un’opera compiuta fin dal 1980, ed era stato nei due-tre anni successivi che si era giocato il suo destino. In quei due-tre anni fu letto, apprezzato, lodato e respinto da – praticamente – tutti gli editori del tempo, che era in Italia un tempo di case editrici numerose, grandi, medio-grandi e medie. Le ragioni degli elogi erano chiarissime, quelle dei rifiuti vaghe o, quando precise, insensate. Ragioni irragionevoli, insomma. Avessi tendenze paranoiche, ne avrei potuto dedurre che nessuno voleva pubblicare il mio romanzo perché l’avevo scritto io. Essendo invece inclinato più all’ironico che al tragico, ne trassi la conclusione che gli editori italiani avevano un’idea di letteratura in generale, e di romanzo in particolare, molto diversa dalla mia e che, se ci tenevo alla mia pelle, era consigliabile troncare ogni rapporto con loro. Il caso Morselli era ancora abbastanza fresco da mettermi in allarme.
Ho voluto chiarire questo punto per allontanare da me il sospetto di avere scritto Eclissi solo perché finalmente, dopo quasi quarant’anni di istupidimento, avevo avuto una seconda idea buona. Di idee buone ne ho avute altre, che hanno dato vita ad altri romanzi, racconti lunghi e stranezze più insolite. Né peraltro sono così esigente o schizzinoso da aspettare la grande illuminazione per gettarmi a capofitto in un’impresa narrativa. So per esperienza che le idee migliori sono le invenzioni che nascono in corso d’opera, dando sostanza e forza a quel filo d’oro, lucente ma esile, che si potrebbe chiamare l’idea-scaturigine. Anche nel caso di Eclissi è stato così: ho trovato il filo d’oro, un’eclissi totale di Sole prevista per il giorno dell’equinozio e la cui ombra avrebbe interessato il Polo Nord. Per una serie di ragioni mi piaceva l’idea di spedire un mio personaggio ad assistervi. Ma sulle prime avevo in mano ben poco: l’eclissi e il cognome del personaggio, Akron, che ho rubato a me stesso (era il protagonista di una mia incompiuta opera giovanile). Senza le invenzioni che ho avuto in seguito, il mio romanzo starebbe tutto in questa frase: “Akron va all’Eclissi”. Un po’ troppo poco per farne un libro. Tuttavia devo ammettere che l’eclissi si è dimostrata una buona idea, molto feconda, e Akron un nome azzeccato. Continua a leggere