Per lavoro e per passione dedico molta attenzione alla narrativa contemporanea: credo che ogni tanto riservi delle sorprese e delle conferme tutt’altro che trascurabili. Ecco le mie considerazioni, seguite da un breve estratto, sugli ultimi libri di autori italiani che per ragioni diverse ho apprezzato.
I fratelli Michelangelo, Vanni Santoni (Mondadori)
Quattro esistenze che la società contemporanea relegherebbe ai margini: Enrico, aspirante accademico; Louis, faccendiere improvvisato; Cristiana, che cerca di affermarsi come artista; Rudra, privo di ogni ambizione. Santoni ne fa i protagonisti del suo corposo romanzo, concedendo ai primi tre il privilegio di raccontarsi (con esiti interessanti soprattutto per Enrico e Cristiana), dando del tu a Rudra e ricorrendo alla terza persona per le sezioni di raccordo, che rivelano il loro legame di fratellastri e la figura dell’eclettico padre che li ha convocati. Forse è un’opera che si pone troppi obiettivi, ma ne centra comunque diversi, mantenendo anche una buona tensione narrativa.
«Non capivo dove stava la fregatura, ma mi dicevo (e intanto era il ’59, il ’60, avevo una moglie, una figlia): Tutto qui? Davvero, tutto qui? Né sarebbe bastato il piacere, o se volete il peccato: a differenza di tanti, l’avere un amante non fece altro che moltiplicare i miei pensieri. Subentrò infatti un’altra convinzione: che il solo modo per non essere infelici fosse chiudersi nell’arte, credere esclusivamente nell’Idea. Non cambiò molto, che fossi un quadro IBM, uno scrittore, un regista, un quadro e poi un dirigente Olivetti (o uno Eni, figurarsi), intuivo di non essere libero […]» (p. 591)
Il dono di saper vivere, Tommaso Pincio (Einaudi Stile libero)
A pagina 81 Pincio interrompe il romanzo ammettendo l’impossibilità a proseguire e dà inizio a una narrazione che germina da quella incompiuta ma rinunciando alla finzione (per quanto una creazione letteraria lo permetta): il risultato è un testo intimo e spiazzante che porta avanti la ricostruzione della biografia di Caravaggio e l’indagine sul potere dirompente della sua arte, ossia ciò che l’alter ego della prima metà del libro si riproponeva di fare. Qualche lettore potrebbe sentirsi tradito dalla cesura e invece è proprio rendendola manifesta e sostituendosi al suo doppio che l’autore dimostra la lealtà nei nostri confronti e trova l’abbrivio per portare a termine un’opera ibrida tanto insolita quanto suggestiva. Non solo, su un piano di lettura più approfondito si potrebbe cogliere che come Michelangelo Merisi raffiguri se stesso in molte opere e mostri talvolta l’atto stesso del dipingere in piccoli dettagli, così fa Tommaso Pincio raccontando se stesso e il farsi della scrittura, portandoci a un livello ulteriore e subliminale di comprensione della creazione artistica.
«A un tratto ho capito che il libro era un fallimento completo, che non avrei mai dovuto iniziarlo. In effetti, com’è tipico di ogni vero errore, la sensazione che mi stavo cimentando in un’impresa maledetta ha aleggiato fin da subito senza che io la considerassi per quel che davvero era e come meritava. A seconda dei casi, dell’umore, o l’ignoravo o prendevo la sensazione per una sfida, nonostante i fatti dimostrassero che non andava affatto ignorata e che la sfida trascendeva le mie possibilità.» (p. 92)
La gente non esiste, Paolo Zardi (Neo)
Il pregio principale di Paolo Zardi – che talvolta ne diventa pure il limite – è quello di raccontare senza infingimenti emozioni e sentimenti semplici che tuttavia orientano le nostre azioni e condizionano le nostre esistenze, sebbene ce ne ricordiamo solo in alcuni folgoranti istanti e lui sa coglierli magistralmente: i suoi personaggi si dibattono tra ansia e insoddisfazione perché non sanno o non possono rinunciare alla ricerca o alla nostalgia di un altrove. Volendo segnalare almeno tre titoli magistrali tra questi ventisette racconti, suggerirei Neolingua, Il ritorno e Urano.
«Le cose si trasformano, pensò, e nulla sembra rimanere uguale; eppure niente cambia davvero: le persone continuano a inseguire la felicità, a occhi chiusi, senza sapere bene cosa cercare, dove scavare, guidate solo da un istinto antico e disperato, e mai arreso.» (p. 15)
La straniera, Claudia Durastanti (La nave di Teseo)
Una ricostruzione delle memorie personali e famigliari in cui narrazione e realtà si equivalgono sin dal primo capitolo, sancendo subito il ruolo e il peso delle parole nella biografia della protagonista; alle pagine sull’incontro dei genitori, entrambi sordi ed eccentrici, seguono quelle sull’infanzia statunitense e poi sull’adolescenza lucana e sugli anni della giovinezza a Londra: ad accomunarle sono la scrittura fiabesca e lucida al contempo e lo sguardo insieme partecipe e distaccato come quello di chi vive intensamente ma fuori sincrono, da straniero appunto.
«Scrivere te stessa significa ricordare che sei nata con rabbia e sei stata una colata lavica densa e continua, prima che la tua crosta si indurisse e si spaccasse per lasciar affiorare una specie di amore, o che la forza inutile del perdono venisse a levigarti e ad appiattire ogni tuo avvallamento.» (p. 63)
L’uomo che trema, Andrea Pomella (Einaudi)
Osservata dall’esterno quella del protagonista apparirebbe come un’esistenza comune: una moglie, un lavoro, un figlio; ma la depressione impone una percezione diversa e angosciante della realtà: in quest’opera cessa di essere privata e inconoscibile ai più grazie alla scelta di un narratore interno che, coerentemente con quanto gli impone la sua malattia, è sempre inclemente verso se stesso e minuzioso nel racconto dei propri malesseri e pensieri ossessivi. È questo a rendere incisiva e dolorosa la scrittura, ma anche credibili gli squarci di luce che la attraversano.
«Il male non è estraneo a me, non è un batterio che è stato inoculato in me, un germe che prima di essere ospitato all’interno del mio organismo possedeva vita propria. Non esiste una causa. Non il padre che mi è mancato, e neppure l’infanzia vissuta in un’abietta precarietà, bensì una deformazione intellettiva, organica, una disposizione di natura. Io sono l’orso, io sono la minaccia, io sono il male di cui soffro.» (p. 24)
Li leggerò con interesse!
Grazie per la fiducia, poi fammi sapere. 😉
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