Letterati editori – Attività editoriale e modelli letterari nel Novecento: l’indagine di Alberto Cadioli delle relazioni tra impegno editoriale e poetica di letterari e critici che hanno segnato la storia culturale italiana
Alberto Cadioli sostiene che esaminando la militanza editoriale dei letterati sia possibile approfondire la loro poetica ed è a partire da questo assunto che sviluppa la ricerca di Letterati editori, testo ripubblicato da il Saggiatore in una nuova edizione rivista e integrata. In realtà, come suggerisce il sottotitolo, Attività editoriale e modelli letterari nel Novecento, queste pagine offrono anche la possibilità di ripercorrere le principali vicende editoriali dello scorso secolo e di riscontrare come molte delle odierne problematiche abbiano radici lontane. Dalle difficoltà distributive, per esempio, ai rapporti di “tentato reciproco imbroglio” tra autori ed editori: «Se l’autore cerca infatti di sottoporre quello che “ha sotto mano assicurando che il lavoro suo interesserà, andrà, si venderà”, l’editore risponde “con lo scaricare addosso al pubblico bestiale tutta l’ignoranza e il cattivo gusto del quale, lui editore, è, pur troppo spesso, abbondantemente fornito”» (Cadioli cita da una lettera di Prezzolini del 1909). Già a inizio secolo toccava poi fare i conti con recensioni disoneste o insulse: “Non è lecito che i redattori di un giornale letterario X, Y e Z, scrivano su quel giornale articoli, X per lodare le novelle di Y, Y per lodare i versi di X, Z per lodare la critica di X e Y”, denunciava Croce nel 1911; mentre Prezzolini, in un articolo pubblicato su La Voce, polemizza: “Due o tre idee, tre o quattro aneddoti e frasi cavate dal libro, qualche ricordo personale, nessuna investigazione seria, e soltanto il desiderio di carezzare la vanità degli autori e l’interesse degli editori – ed ecco fabbricato l’articolo”. Non nuova nemmeno la cosiddetta editoria a pagamento, dal momento che Carocci scrive in una lettera del 1932: “Anche il libro di Vittorini [Piccola borghesia] è stato interamente pagato da Vittorini stesso con moltissime prenotazioni: altrimenti non lo si sarebbe potuto pubblicare” e Cadioli riporta anche alcuni brani delle lettere in cui Gadda chiedeva agli amici di sottoscrivere la prenotazione di alcune copie delle sue opere per contribuire alle spese di pubblicazione a suo carico. Altro tasto dolente e costante sono gli esigui compensi dei collaboratori editoriali, tanto che la traduttrice Nada Cappelletti nel 1956 scrive a un redattore della Rizzoli: “Se voglio guadagnare rapidamente una simile somma mi basta dare alcune lezioni private, non occorre certo che stia in compagnia di un autore alcuni mesi”. Sul ridotto pubblico della poesia, poi, già nel 1955 Sereni lamentava: “Oggi in Italia la poesia è screditata anche perché si è persa da parte dei più la capacità di accertamento delle sue qualità più naturali”.
Al di là di queste suggestioni, sarà però opportuno dare conto del percorso proposto in Letterati editori attraverso la scansione in nove capitoli: nei primi due, ricostruendo le esperienze delle riviste Leonardo e La Voce, cui poi si affiancano le pubblicazioni dei «Quaderni della Voce», viene analizzato l’impegno di Giovanni Papini e di Giuseppe Prezzolini nel riformare lo spirito italiano, nel sostenere le ragioni di una letteratura impegnata contro quella definita “inutile”. La figura di Renato Serra diventa invece l’emblema della difficoltà dei letterati di trovare la propria collocazione nella società novecentesca e un equilibrio tra l’ideale di una vita appartata e speculativa e la necessità di far quadrare i bilanci (che già aveva assillato Papini, giunto a ritirarsi in campagna per limitare le spese); a tal fine, Serra proverà a cimentarsi nell’attività editoriale con molta ansia e scarsa soddisfazione. Con Solaria e le omonime edizioni si dimostra l’ambizione di Alberto Carocci di valorizzare la prosa narrativa e ricondurre a una dimensione europea le patrie lettere; esperienza dalla quale Alessandro Bonsanti prenderà in seguito le distanze in favore di una maggiore sperimentazione, promossa attraverso la «Collezione di Letteratura». Con il capitolo su Luigi Rusca, che articolerà in nuove e ammiccanti collane la proposta della Mondadori e sarà poi l’ideatore della fortunata Biblioteca Universale Rizzoli, si dà conto della nuova dimensione imprenditoriale dell’editoria italiana, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, in cui le scelte finalizzate all’ampliamento del pubblico dei lettori coniugano un sincero desiderio di divulgazione culturale e finalità economiche (celebre la battuta che Angelo Rizzoli rivolse a Rusca: “Lei mi ha imbrogliato, altro che cultura! Con questi libri qui si guadagna un sacco di soldi”). Il lavoro svolto da Elio Vittorini prima per Mondadori e Bompiani e poi per Einaudi, in particolare dirigendo la collana «I gettoni», dimostra come il suo interesse per la letteratura americana durante il ventennio fascista fosse una delle forme di espressione delle sue aspirazioni libertarie, mentre negli anni Cinquanta e Sessanta i suoi pareri di lettura e l’apparato testuale delle opere da lui curate ribadiscono il suo ideale di una letteratura sperimentale e in opposizione al neorealismo. Con Vittorio Sereni l’indagine si concentra sul versante poetico, sottolineando il contrasto tra lui, sino al 1958 semplice collaboratore alla Mondadori, e Giuseppe Ravegnani, direttore della collana «Lo specchio» e fautore di versi legati alla tradizione e improntati a un certo sentimentalismo. La ricostruzione della conduzione di Giacomo Debenedetti della collana «Biblioteca delle Silerchie» offre invece lo spunto per dimostrare come percorso critico e attività editoriale si coniughino all’insegna di una letteratura colta nell’ambizioso progetto editoriale a cui Alberto Mondadori dà vita con il Saggiatore, finendo per prendere le distanze dalla casa editrice del padre Arnoldo (modello più attento all’intrattenimento e dimostratosi vincente dopo la breve fiammata ideologica di fine anni Sessanta). L’ultimo capitolo è dedicato alla militanza editoriale di Italo Calvino, presso la casa editrice di Giulio Einaudi, che ribadisce nelle numerose lettere agli aspiranti scrittori, nei pareri di lettura e negli apparati testuali redatti il suo ideale di una narrativa antiletteraria e che non si limitasse alla riproduzione della realtà.
Vorrei infine concludere sottolineando come Alberto Cadioli non si esima dal rilevare insieme alle scelte meritorie e coraggiose anche quelle discutibili dei protagonisti della nostra cultura. Così per esempio Vittorini, in nome di un gusto personale e della ricerca di una maggiore leggibilità, non solo propone interventi di editing anche molto radicali, ma sceglie criteri uniformanti nelle traduzioni di cui si occupa personalmente e a Falqui scrive nel 1941: “Gli americani che ho tradotto hanno ognuno un proprio linguaggio nell’originale, nelle mie traduzioni ne hanno, per quello che è il ritmo del periodare almeno, uno solo”. E che dire di Calvino? Lettore fine e onnivoro, dichiara tuttavia: “Non sono riuscito a finire l’Ulysses e anche Faulkner mi sta piuttosto sullo stomaco” e riguardo a Svevo commenta: “scriveva male che peggio non poteva, ma guardava le cose coi suoi occhi”.