Intervista a Pietro Biancardi, editore Iperborea

Iperborea Editore_Logo

Pietro Biancardi si è laureato in Lingue e letterature straniere e ha lavorato per diverse case editrici prima di dirigere Iperborea, realtà fondata nel 1987 da Emilia Lodigiani, sua madre; Biancardi ne sta portando avanti con convinzione il progetto “di far conoscere la letteratura dell’area nord-europea in Italia, dai classici e premi Nobel, inediti o riproposti in nuove traduzioni, alle voci di punta della narrativa contemporanea”.

Ti sentivi destinato a subentrare a tua madre alla guida della casa editrice Iperborea o durante gli studi in Lingue avevi ipotizzato altri percorsi professionali?
Per niente. Tant’è che sono laureato in lingua inglese e spagnola. Da studente portavo avanti qualche collaborazione con giornali, riviste e siti internet, ero più orientato verso il giornalismo, l’editoria libraria è venuta in un secondo momento. A meno di non aver coltivato dentro di me il tarlo in modo inconscio: per i primi anni – ero ancora bambino – l’ufficio di Iperborea era in casa dei miei genitori e i miei primi lavoretti sono stati giornate passate a imbustare gli inviti per le presentazioni (allora non c’era l’email) o in altre occupazioni manuali, lo stand alla fiera, le consegne, e poi quand’ero un po’ più grandicello anche qualche bozza e altre mansioni più nobilitanti. Mi sono sempre divertito, mi sentivo importante, e poi in fondo sono tutte mansioni, quelle, di cui un piccolo editore indipendente non si libera mai, e comunque è una parte del lavoro che mi piace molto.

Il successo dei gialli scandinavi vi ha portato a creare la collana Ombre; più in generale pensi che abbia giovato alla narrativa nordeuropea, suscitando l’interesse di un vasto numero di lettori, o le abbia nociuto imponendo una percezione limitativa della stessa?
Sono convinto che il giallo scandinavo sia stato una cosa tutto sommato positiva: molta più gente si è interessata ai paesi del nord e una parte di questa non si è fermata alla moda del giallo, qualcuno ci è andato fisicamente (mi dicevano gli amici di VisitSweden, l’ente di promozione del turismo, che l’anno di Stieg Larsson i viaggi dall’Italia alla Svezia sono aumentati del 20%) e poi magari qualcuno ha deciso di approfondire, leggendone la letteratura più “alta”, iscrivendosi magari ai nostri corsi di lingua, o frequentando i nostri festival.

Quali ritieni siano le peculiarità delle letterature del Nord Europa?
Come in ogni letteratura, e soprattutto oggi, si trova di tutto, ma di certo i nordici hanno una grande tradizione di “storytelling”: i racconti intorno al fuoco, le fiabe, le leggende popolari, per non parlare delle saghe. Con le saghe antiche, come ha scritto Borges, “gli islandesi scoprono il romanzo, l’arte di Cervantes e di Flaubert, senza che il resto del mondo se ne accorga”. Un’altra cosa che amiamo molto dei nordici è che non hanno paura di affrontare grandi narrazioni, i temi più alti e le eterne domande, sull’uomo, su dio, la morte, l’etica e la società. Per esempio Björn Larsson: in ogni libro (romanzi e saggi) esplora le grandi tematiche del contemporaneo, come libertà, giustizia, cultura e natura, segretezza, fanatismo, e altri. Uno dei filoni che più esploriamo, forse quello meno conosciuto della cultura nordica, e che sorprende un po’ tutti, è quello dell’umorismo. Un umorismo a volte più esplicito (ma molto basato sull’understatement) come in Arto Paasilinna, Tove Jansson, Kari Hotakainen, Mikael Niemi, Erlend Loe, Torgny Lindgren, Jørn Riel (e potrei continuare), ma comunque quasi sempre sotto traccia sia nei classici come Selma Lagerlöf o Knut Hamsun (sì, perfino lui!) sia nei grandi contemporanei, penso a Jón Kalman Stefánsson, Lars Gustafsson, ecc.

La percentuale dei lettori italiani (circa 45%) rispetto a quella degli abitanti dei paesi scandinavi (circa 75%) è quasi imbarazzante: secondo te dove vanno cercate le ragioni di questo gap? A chi spetterebbe e come provare a invertire la tendenza?
In parte sicuramente il divario è culturale e secolare: nei paesi nordici a forte matrice protestante l’alfabetizzazione di massa è arrivata con oltre un secolo d’anticipo, mentre nei paesi cattolici e mediterranei come il nostro è un fenomeno relativamente recente. Tutt’ora, però, la differenza è a volte imbarazzante, qui la cultura e la lettura rimangono un fenomeno d’élite. Sfogliando le ultime statistiche sulla lettura, quelle pubblicate dall’Istat nel 2015, quello che più sconvolge è l’incapacità della scuola di produrre un salto culturale, e quindi sociale, nelle nuove generazioni: il fattore decisivo perché una persona diventi lettore o lettrice non è un elevato titolo di studio come si potrebbe pensare, ma il fatto che i genitori siano a loro volta dei lettori.
Ci sono tante cose che si potrebbero fare, dalla deducibilità per la spesa in libri (cosa che darebbe respiro anche alle librerie), a un sistema bibliotecario con maggiori risorse. La mancanza di soldi non deve essere una scusa per una mancanza di volontà (o una pigrizia) politica. In tempi di crisi ci sono comunque piccole idee a costo zero o quasi; da piccolo, quando vivevamo a Parigi, ho fatto le elementari alla scuola pubblica francese, e ricordo che ogni mercoledì passavamo tutta la mattina in biblioteca. Lì eravamo liberi di girare per gli scaffali e sceglierci da soli – se preferivamo – i libri da leggere e sfogliare. Erano momenti di grande gioia che ricordo ancora. Qui da noi le letture sono più imposte da maestri, prof e sottosegretari all’istruzione, poi bisogna preparare una scheda per dimostrare di aver capito quanto si è letto, ed essere interrogati su quanto si è appreso. Non mi pare un grande stimolo a diventare lettori.

Come può competere un editore indipendente con i grandi gruppi in un mercato di cui questi gestiscono l’intera filiera (dai distributori alle librerie di catena e ai periodici culturali)?
Ognuno sceglie la sua strada, per fortuna ce ne sono tante che funzionano, e trovo che l’Italia nonostante tutto al di là dei grandi marchi abbia un sottobosco di editori indipendenti che fanno nel loro piccolo un lavoro eccezionale, proponendo titoli di altissima qualità. Iperborea per essere competitiva ha scelto – volendo schematizzare – quattro strade: la specializzazione culturale e geografica; una cura maniacale per ogni fase del processo editoriale, nella scelta dei titoli, dei traduttori, nell’attenzione alla redazione, l’impegno nella promozione del marchio e degli autori con ufficio stampa, eventi, festival; un investimento nel lavoro: oltre a me e mia madre qui lavorano ormai da alcuni anni sei persone (tutte assunte a tempo indeterminato tranne l’ufficio stampa che ha preferito rimanere free lance per occuparsi di altri progetti culturali) che sono ormai una squadra di altissimo livello, tutte molto affiatate e che credono quanto noi nel progetto della casa editrice; ultimo ma non meno importante, il dialogo continuo con i lettori e i librai, alle fiere, negli incontri, e che ora prosegue anche sui social network.
Iperborea, poi, è anche distribuita da ALI Libri, che ha un proprio magazzino e una propria promozione, quindi siamo indipendenti anche in quello, cosa di cui andiamo piuttosto orgogliosi.

Insieme ad Adelphi, siete tra le poche case editrici con una storia piuttosto lunga i cui titoli in catalogo sono ancora quasi tutti in commercio: come riuscite ad ammortizzare i costi di magazzino e a ottenere spazio in libreria?
Grazie innanzitutto per l’accostamento con Adelphi, anche se loro rimangono un modello difficilmente raggiungibile. Però in qualche modo ci sono delle similitudini: anche noi, come loro, abbiamo l’ambizione di pubblicare solo libri che idealmente possano durare nel tempo, opere che ci auguriamo (anche se ovviamente possiamo sbagliarci!) avranno qualcosa da dire anche tra 10, 20 o 50 anni. Questa politica editoriale ti costringe a guardare al lungo termine, cosa che Iperborea può permettersi di fare essendo un’azienda piccola, indipendente e familiare, quindi non soggetta al bisogno di produrre risultati immediati. Ogni anno pubblichiamo tra le 15 e le 17 novità, mentre mandiamo una trentina di titoli in ristampa. Tra questi una ventina sono i nostri longseller che vendono ogni anno oltre le 1000 copie. Altri 10 li scegliamo con attenzione tra quelli a più bassa rotazione ma che secondo noi meritano di rimanere in vita. È un’operazione sul breve antieconomica: non ci sono solo i costi di stampa, ma anche il rinnovo dei contratti con agenti, autori e anche traduttori. In molti casi c’è di mezzo anche una nuova impaginazione con relativa correzione di bozze. Ma sul lungo termine credo che paghi. In ogni caso il risultato è che oggi l’85-90% del nostro catalogo è disponibile.

Pietro Biancardi, Iperborea

In molti si interrogano sul formato dei vostri volumi, tanto da avervi indotto a spiegarne la scelta sul vostro sito internet: mattonelle per “costruire la personalità, la mente e l’anima del lettore”. Quali le ragioni del recente restyling grafico (che preserva comunque il formato tradizionale)?
Il restyling è stato un lavoro molto meditato, durato un anno, con lo studio milanese xxy, con cui ci siamo trovati benissimo fin dal primo incontro. Dopo 27 anni in cui non era stato toccato mai niente nella grafica dei nostri libri (e in tutta l’immagine generale della casa editrice), ci siamo resi conto che se alcuni elementi erano stati vincenti (i colori per esempio, o la forte presenza delle immagini in copertina) e qualcosa era intoccabile (il formato, quasi un biglietto da visita ormai), ce n’erano altri che avevano bisogno di una rinfrescata (uno su tutti: il lettering). Dovevamo anche risolvere qualche problemino tecnico, come l’eccessiva rigidità dei nostri libri, che ne rendeva difficile l’apertura, cosa che ci ha portato a cambiare la carta, sia per la copertina che per gli interni. E poi volevamo impreziosire ulteriormente i nostri volumi. Oltre ad aggiungere la sovracoperta con bandelle abbiamo scelto solo materiali molto pregiati. Anche qui, in un momento in cui quasi tutti cercano di risparmiare, noi abbiamo voluto spendere di più. Il riscontro finora è molto positivo, la nuova grafica è stata accolta con molta attenzione e ottime recensioni, e ancora oggi riceviamo email di complimenti da librai e lettori. E se il Natale sarà buono come credo e spero, il 2015 si avvia a essere l’anno record di vendite di Iperborea dalla sua fondazione.

Quali saranno le prossime pubblicazioni Iperborea?
Le nostre strenne natalizie, in uscita in questi giorni, sono grandi classici del nostro catalogo: un nuovo titolo di Arto Paasilinna, Il liberatore dei popoli oppressi, il cui protagonista Viljo Surunen entrerà di certo nella galleria dei grandi personaggi paasilinniani, al pari di Vatanen dell’Anno della lepre o della “dolce Linnea”; una nuova raccolta di racconti di Selma Lagerlöf, La notte di Natale; e un libro di cui andiamo particolarmente orgogliosi, Tumbas dell’autore olandese Cees Nooteboom, anche quest’anno tra i favoriti al Nobel: un libro che raccoglie trent’anni di viaggi per il mondo in pellegrinaggio sulle tombe di poeti, scrittori e pensatori. Un viaggio illuminante, appassionante, e che sorprendentemente infonde una certa allegria. Nel 2016 invece lanceremo alcuni nomi nuovi. Tra questi consiglio di tenere d’occhio il belga Peter Terrin, il danese Stig Dalager e la svedese Majgull Axelsson.

Su questo blog trovate anche le conversazioni con Daniela Di Sora della Voland, Marco Cassini di SUR, Lorenzo Flabbi delL’Orma, Eugenia Dubini di NN.

Pubblicità

5 thoughts on “Intervista a Pietro Biancardi, editore Iperborea

  1. Annarita Tranfici ha detto:

    L’ha ribloggato su In Nomine Artis – Il ritrovo degli Artistie ha commentato:
    Un’altra fantastica intervista a cura di Giovanni Turi.
    Lettura consigliatissima!

  2. […] Tutto quello che non ricordo è un romanzo composto da una pluralità di voci che cercano di ricostruire la storia di Samuel, ventiseienne suicida (o presunto tale). Sono le testimonianze di persone che gli sono state accanto o che lo hanno conosciuto di sfuggita e dalle quali uno scrittore cerca di intuire di chi siano le eventuali responsabilità; ciascuno però racconta la propria verità e, che sia sincero o meno, non coincide mai con quella degli altri: «Certi dicono che Samuel era depresso e lo progettava da tempo. Altri che è stato solo un incidente. Alcuni danno tutta la colpa a quella ragazza con cui stava […]. E altri ancora dicono invece che sia colpa di quel suo amico grande e grosso, quello che adesso è in prigione, quello che farebbe qualsiasi cosa per i soldi». Jonas Hassen Khemiri potrebbe anche essere lo scrittore che interroga i diversi personaggi, non vi è comunque nessuna forzatura metaletteraria, perché la scena è interamente occupata da loro e in particolare da Vandad, il migliore amico di Samuel: il suo resoconto è l’unico che prosegue per tutte e tre la parti di cui si compone Tutto quello che non ricordo. Nella prima, alla sua versione dei fatti si alternano le parole di un vicino di casa del supposto suicida, di alcuni infermieri che assistono la nonna, della madre, di un’amica soprannominata Pantera; ma il vero contrappunto è rappresentato nella seconda parte da quanto riferisce Laide, la ragazza con cui Samuel ha avuto una breve, intensa e devastante relazione; nell’ultima parte fanno la loro comparsa, sempre avvicendandosi a Vandad, altri due narratori, ma non è il caso che vi riveli chi sono. Khemiri crea così con una successione di frammenti narrativi in forma di testimonianza un’opera emozionante e convincente, che rimarca come da persona a persona si differenzi l’interpretazione di quanto accade e sottolinea la fragilità di chi vive senza timore di esporre le proprie stravaganze e debolezze – come Samuel. Non si tratta però semplicemente di una storia di solitudine o sugli effetti collaterali dell’amore, ma di un romanzo che si confronta anche con la complessità del presente: per esempio è costante l’attenzione dell’autore al razzismo sempre meno latente nella società svedese contemporanea; problematica che, come spiega il traduttore Alessandro Bassini nella nota in appendice, attraversa l’intera produzione di Jonas Hassen Khemiri, di madre svedese e padre tunisino, meticcio dunque – come Samuel. Quanto alla grafica, rinnovata pur mentendo immutato il singolare formato a mattonella, e al bel progetto culturale di Iperborea, vi rimando all’intervista all’editore Pietro Biancardi: https://giovannituri.wordpress.com/2015/11/26/intervista-a-pietro-biancardi-editore-iperborea/ […]

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...