Tiroide (Gorilla Sapiens Edizioni), il romanzo d’esordio di Marco Parlato, racconta la storia di Stefano: uno studente universitario, di origini campane, che cerca di sopravvivere alla quotidianità caotica della capitale, all’ipertiroidismo e alla misantropia, inframezzando le sue giornate con la lettura di brani del diario di uno straniero; sarà proprio questo testo, reperito accidentalmente, a segnare la svolta del finale (che – purtroppo – oltrepassa il territorio liminale del grottesco che altrove Parlato percorre con grande abilità).
La narrazione in prima persona del disilluso protagonista genera una scrittura ironica peculiare ed efficace, che contribuisce a fare di Tiroide un romanzo di intrattenimento sì, ma non banale.
Marco, quando hai iniziato a scrivere Tiroide e spinto da cosa?
Ricordo che nel 2010 stavo ordinando diversi appunti, e che verso fine anno esisteva già qualche capitolo embrionale su cui avevo le idee chiare – concetto da affrontare con prudenza. Ero spinto dalla banale convinzione di avere una buona storia da raccontare.
Come sei giunto alla Gorilla Sapiens Edizioni? Come e con chi hai lavorato all’editing e alla redazione del romanzo?
Lessi in rete di questa nuova casa editrice. Gorilla Sapiens era molto attiva sui social e aveva uno stile e un’identità ben definiti – pregio non sempre scontato. Ebbi la sensazione che Tiroide e Gorilla Sapiens potessero stare bene insieme. Non mi sbagliavo.
Il lavoro sul romanzo l’ho svolto con l’editore. Qualche chiacchierata virtuale e reale, molti scambi di mail. Nulla di nuovo, universalmente parlando. Sul piano personale: molto piacevole.
Una delle tue cifre stilistiche è la resa caricaturale (seppur verosimile) di situazioni e personaggi: contano qualcosa le tue origini campane?
Conta la trascurabile fortuna che ho di notare questo aspetto nelle persone che incontro quotidianamente. Senza dimenticare le numerose volte in cui mi ritrovo allo specchio. La caricatura è sempre in agguato, per tutti.
Come ti inserisci nella querelle su fiction, non-fiction e auto-fiction?
Preferisco tenermi distante da ogni tipo di querelle. In questo caso confesso di essere affascinato dall’auto-fiction, soprattutto a livello teorico. Mi permetto una breve osservazione sulla personale sensazione che oggi funzioni meglio e abbia maggior consenso – anche se dubito che molti lettori di auto-fiction sappiano di leggere auto-fiction – quando adottata da scrittori noti, che interagiscono con personaggi noti. Insomma, il voyeurismo mediatico ha intaccato anche la letteratura – o l’editoria?
L’ultimo libro letto che ha cambiato qualcosa nella tua percezione del mondo?
A suo modo ogni libro influisce sulla visione delle cose, persino i libri che non piacciono.
Non è stato l’ultimo, ma tra i migliori di certo rientra Al tavolo del Cappellaio Matto di Alberto Manguel. Una raccolta di saggi brevi, in cui la pazzia non è il solo argomento. Viene fuori un modo di vivere la letteratura sotto forma di gioco. Il che va davvero controcorrente, dato che purtroppo ancora oggi piace tanto l’idea che chi scrive, o chi si occupa di libri, viva in un mondo serioso, cupo, triste, dall’atmosfera depressiva e depressa.