La mia recensione pubblicata sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» di ieri
Sto bene, è solo la fine del mondo (Longanesi) è il romanzo d’esordio del monopolitano Ignazio Tarantino e racconta la storia della sua contrastata giovinezza tra impulsi di vita e dettami religiosi. L’autore fa i conti con il proprio passato attraverso la figura del protagonista, Giuliano, che assiste alla conversione di sua madre e dei suoi fratelli al credo dei testimoni di Geova e, prima ancora di comprenderne le ragioni, spinto dal loro amore è costretto ad adeguarsi: «In quel momento capii che entravo definitivamente in un mondo a parte, che non sarei stato come gli altri bambini […]: loro non dovevano stare a pensare se fosse giusto o sbagliato fare una determinata cosa».
L’autore è abile nel mostrare la realtà prima con lo sguardo ingenuo di un bambino di sei anni, che deve ad esempio rinunciare al Natale e alla condivisione della quotidianità ludica con i coetanei; poi con quello curioso di un ragazzino, costretto a rinnegare l’amore corrisposto per Sara e ad accettare la morte del fratello perché i suoi cari impediscono la “sacrilega” trasfusione; infine con quello problematico di un giovane, che non vuole privarsi dell’affetto dei propri cari, ma non può più accettare di continuare a vivere in quella che inizia a percepire come una menzogna.
Una prospettiva cruciale in tutto il romanzo, oltre a quella religiosa e ai suoi condizionamenti, è rappresentata proprio dall’analisi delle dinamiche e delle tensioni famigliari: le violenze del padre burbero e manesco vengono gradualmente sostituite da quelle psicologiche della madre infervorata, così come la complicità tra i fratelli è via via corrosa dai sospetti di apostasia.
Nonostante qualche leggerezza da esordiente, come il finale un po’ precipitoso, Sto bene, è solo la fine del mondo è comunque una convincente opera prima e a Tarantino, che da quasi vent’anni ha lasciato la sua terra e la sua famiglia, va anche riconosciuto il merito di non aver voluto indulgere su quei particolari folkloristici e nostalgici che connotano tanta della “letteratura pugliese” per dare alla sua scrittura l’orizzonte più ampio di una denuncia contro ogni forma d’integralismo, a prescindere dalle coordinate storico-geografiche.
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