Intervista ad Alice Di Stefano, editor della narrativa italiana Fazi Editore
Alcuni scrittori non perdono occasione per ringraziare il proprio editor, altri per lanciargli critiche più o meno velate; taluni lo considerano un coautore, altri poco più che un redattore o un semplice lettore professionista… Chi è per te l’editor e qual è il suo ruolo?
L’editor, in Italia, non è certo una figura decisiva come all’estero anche se qui, come lì, il suo compito rimane quello di sostenere un testo (e di conseguenza il suo autore) dalla scelta fino alla pubblicazione e all’eventuale lancio sulla stampa.
Il rapporto che lega chi scrive con la persona che gli fa da specchio (intervenendo più o meno attivamente sullo scritto) è sempre complesso e contraddittorio e finisce spesso per riguardare questioni che poco hanno a che fare con la scrittura: scrivere (e soprattutto pubblicare) è in fondo un mettersi in gioco, un esporsi. L’editor così può diventare per l’autore un grande amico o il capro espiatorio con cui prendersela se le cose vanno male. L’identificazione dell’editor con la casa editrice, del resto, è totale anche se, a seconda del carattere, c’è l’autore che ringrazia a prescindere dal risultato e quello, diciamo così, un po’ più sostenuto. In generale, una sorta di imprinting scatta nell’autore (specie esordiente) nei confronti di chi lo contatta per primo per dirgli che il libro si farà.
Qual è stato il percorso che ti ha portato a svolgere questa professione?
Io in realtà ho una formazione squisitamente accademica: prima di approdare all’editoria, ho insegnato letteratura all’università e scritto saggi di carattere critico su argomenti legati all’italianistica. Durante i corsi di narrativa contemporanea, una particolare attenzione la dedicavo ai nuovi autori e alle tendenze in atto trattando l’insegnamento affidatomi proprio della produzione romanzesca dal 1980 a oggi. Poi, pian piano, la collaborazione con la casa editrice Rizzoli per qualche editing esterno fino all’incontro con Fazi e con la Fazi editore.
Spesso si lamenta un aumento della narrativa di intrattenimento, un eccessivo accanimento nella ricerca del possibile bestseller, così come una certa uniformità di stili e forme a scapito di una produzione editoriale guidata da valori prettamente letterari. Quanto il “mercato” influenza il tuo lavoro?
Se si lavora nell’editoria, dal mercato non si può prescindere. In più, il mercato non è sempre da considerare come un’entità astratta: siamo noi, noi che compriamo e leggiamo, noi che investiamo i nostri soldi in qualcosa anziché in qualcos’altro. Come studiosa, certo, forse farei scelte differenti rispetto a quelle che talvolta mi trovo a fare o che presiedono alla pubblicazione di alcuni testi o al successo di molti libri in classifica. Tuttavia, proprio il fatto di essere obbligata a confrontarmi con un pubblico ampio mi stimola ad andare al di là della sensibilità personale e scommettere sul nuovo. Detto questo, è chiaro che certi meccanismi interni all’editoria quanto alla società stessa scoraggiano la produzione di opere considerate più difficili e questo nonostante un’iperproduzione di titoli proprio nella ricerca del best seller. In ogni caso, il problema è alla radice e riguarda un impoverimento culturale diffuso e ormai cronicizzato che l’editoria non può far altro che registrare e, in parte, assecondare.
Quale delle opere da te curate ritieni che non abbia ancora ottenuto il giusto riconoscimento?
In generale, mi dispiace quando un libro ben scritto e anche raffinato (magari contemporaneamente commerciabile o dall’aspetto un po’ pop) non ha il successo che si merita. Non mi capacito che ci siano ancora pregiudizi nei confronti di alcuni generi letterari in particolare e che, pur non esplicitandolo, si faccia differenza tra letteratura di serie A e letteratura di serie B. Domina però poi e paradossalmente una sorta di pseudocultura che impone canoni falsati facendo gridare al capolavoro in presenza di semplice narrativa o, al contrario, sottovalutando opere davvero interessanti. Ad aver perso la bussola insomma è proprio la critica che a volte sembra non avere più un’autorevolezza in grado di indicare la via al lettore.
Con Le Meraviglie, un contenitore improntato alla leggerezza, mi piacerebbe difendere un tipo di scrittura come quella umoristica che, nonostante il successo recente di molti romanzi e racconti, stenta tuttora ad essere considerata importante e a costituire di per sé un vero e proprio filone anche letterario.
Spesso gli aspiranti scrittori hanno atteggiamenti persecutori o arroganti, o semplicemente dimostrano di non conoscere affatto la realtà con cui devono confrontarsi. Un episodio simpatico o grottesco che ti è capitato?
Tantissimi! E ci si potrebbe davvero scrivere un libro! Gente che ti insegue, si apposta, ti scrive e ti riscrive… e qualcuno devo dire anche simpatico. Da qualche anno, poi, posso vantare un personal stalker che mi tiene viva e mi fa sentire importante per la costanza e la determinazione che mette nel perseguitarmi.
I sistemi usati per farsi notare sono infiniti (e spesso apprezzabili proprio per l’allegra intraprendenza che li origina): il manoscritto avvolto nella camicia, la mail esilarante, le poesie stampate su cartoncino… E pensare che in realtà basterebbe un incipit folgorante o perlomeno ben scritto!
Qualche anticipazione sulle prossime pubblicazioni di Fazi Editore?
Per il mio settore (narrativa italiana e varia) non potrò non menzionare un libro come Cate io di Matteo Cellini, romanzo d’esordio dalla lingua estremamente curata che, attraverso la storia di una ragazzina obesa, costruisce un personaggio davvero indimenticabile. Per la linea di narrativa umoristica invece, uscirà un libro tenero e insieme irresistibile (nonché molto “cinematografico”) di Francesco Muzzopappa (“Ma dov’è stato finora??!”), un altro esordiente che, in Una posizione scomoda, trasforma un brillante neodiplomato al Centro di Cinematografia di Roma in uno sceneggiatore per il porno fino alla consacrazione suo malgrado a Cannes (vincitore di uno Zizi d’or) all’insaputa dei suoi religiosissimi genitori. Mille peripezie prima del lieto fine anche in Nemmeno le galline di Alessio Mussinelli, commedia all’italiana in puro Vitali style.
Nelle Meraviglie, proseguirà infine la serie di guide per traferirsi all’estero: dopo l’ottimo riscontro di Strano ma Londra, ora sarà la volta di due libri dedicati a due nuove mete di emigrazione considerate insolite ma destinate a diventare sempre più interessanti: Rio de Janeiro e Shanghai.
Qui le precedenti interviste.
A Nicola Lagioia, editor minimum fax:
https://giovannituri.wordpress.com/2012/11/05/intervista-a-nicola-lagioia-editor-minimum-fax/
Ad Antonio Paolacci, editor Perdisa Pop:
https://giovannituri.wordpress.com/2012/11/14/intervista-ad-antonio-paolacci-editor-perdisa-pop/
A Mario Desiati, editor Fandango:
https://giovannituri.wordpress.com/2012/12/19/intervista-a-mario-desiati-editor-fandango/
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[…] noi. Giusto per fare qualche nome, parlo di Caterina Arcangelo, Serena Casini, Silvio Bernardi, Alice Di Stefano, Michele Galgano, Alessandro Garigliano, Stefano Izzo, Mauro Maraschi, Daniela Marcheschi, Antonio […]
[…] Alice Di Stefano, editor Fazi Per il 2014 non ho trovato esordienti di mio gradimento (almeno tra quelli che sono riuscita a leggere quest’anno – Cartongesso di Francesco Maino, ad esempio, mi interessava moltissimo, ma non ho avuto tempo di dedicarmici) se non, naturalmente, due di mia scelta targati Fazi: Adelante di Silvia Noli e La ragazza di Scampia di Francesco Mari, entrambi per la freschezza della narrazione, uno stile originale e una lingua tersa, pulita ma mai scontata. Quindi non saprei che dire al riguardo e passerei direttamente alle opere seconde, terze, quarte, ecc.: Bella mia di Donatella Di Pietrantonio (Elliot) mi è piaciuto molto, confermando il grande talento dell’autrice, così come Lisario o il piacere infinito delle donne di Antonella Cilento (Mondadori). Lacci di Domenico Starnone (Einaudi) è stata una sicurezza; Lezioni in paradiso di Fabio Bartolomei (e/o) un modo per rileggere questo amato autore. L’allegria degli angoli di Marco Presta (Einaudi) infine mi ha riportato alla mente l’intelligente leggerezza di Un calcio in bocca fa miracoli (e non è poco). Segnalo anche la ripubblicazione della Tregua di Mario Benedetti (Nottetempo), un libro delicato, poetico e intensamente profondo, senz’altro difficile da dimenticare. […]