Io sono John Fante

John FantePubblicata da Rubbettino la biografia di Eduardo Margaretto sullo scrittore statunitense, Non chiamarmi bastardo, io sono John Fante

Scritta originariamente in spagnolo, è uscita nella collana Velvet della Rubettino Editore la biografia di Eduardo Margaretto sull’autore di long-seller quali Chiedi alla polvere o La confraternita dell’uva: la traduzione è di Maria Pina Iannuzzi, il titolo Non chiamarmi bastardo, io sono John Fante.
Si tratta di un’accurata analisi della vita e dell’opera di Fante che rintraccia le ragioni della sua rabbia costante nella condizione di escluso dovuta alle origini italiane dei suoi antenati: «si sentì sempre diverso, e non cessò di scontrarsi con l’ambiente che lo circondava, nel quale contraddittoriamente, voleva sentirsi pienamente integrato». Nasce anche da questo sentimento contrastante uno degli aspetti più importanti del suo romanzo d’esordio, La strada per Los Angeles, che lo rese indigesto a molti editori, tanto che verrà pubblicato postumo: «Fante ha il coraggio di dare testimonianza di quei destini sballottati dalla miseria, dalle umilianti condizioni imposte dalla Grande Depressione, essendo tuttavia cosciente che a quell’epoca pochi americani volessero ascoltare le sventure dei loro vicini [gli immigrati]. […] quel libro che raccoglie le follie di un giovane scrittore che cerca di sopravvivere a Los Angeles non fu pubblicato perché il romanzo era troppo avanti per l’epoca, era più postmoderno che moderno, un precoce, furente e impubblicabile Giovane Holden». Continua a leggere

Intervista a Leonardo G. Luccone: editor, agente letterario e curatore di SARÀ UN CAPOLAVORO, raccolta di lettere di Fitzgerald

Sarà un capolavoro, Fitzgerald, a cura di Luccone, copertinaSarà un capolavoro è una raccolta di lettere di e per Francis Scott Fitzgerald che, insieme alle note di Leonardo G. Luccone, compongono una biografia dettagliata dello scrittore e consentono di seguire il tormentato processo creativo delle sue opere, offrendo anche un disincantato spaccato del mondo culturale ed editoriale degli Stati Uniti nella prima metà del ’900. Emerge il profilo di un autore dall’animo umbratile e dallo stile di vita sregolato, tormentato dai debiti, ma allo stesso tempo consapevole del proprio talento, puntuale revisore di se stesso e lettore attento degli scritti altrui, capace di slanci generosi e risentite stoccate tanto verso i colleghi (in particolare l’amico-rivale Hemingway) quanto nei confronti della sua odiata e adorata compagna, Zelda. Di tradurre le lettere se n’è occupato Vincenzo Perna, mentre a curare l’opera è stato Leonardo G. Luccone, titolare dell’agenzia letteraria Oblique: ne ho approfittato per intervistarlo sia su questa pubblicazione edita da minimum fax sia sul suo lavoro.

Come nasce Sarà un capolavoro – Lettere all’agente, all’editor e agli amici scrittori? Hai proposto tu l’idea a minimum fax o sei stato contattato dalla casa editrice?
Lavoravo alle lettere di Fitzgerald da qualche anno e ho proposto a Giorgio Gianotto, il direttore editoriale di minimum fax, di progettare una specie di biografia di Fitzgerald attraverso la corrispondenza e i diari. Mi sono reso conto che era possibile raccontare questo grande autore da un altro punto di vista. Ne viene sovvertita la sua immagine istituzionale. Fitzgerald si è consumato nella scrittura. Eccessi e stravaganze sono una componente minoritaria della sua vita, è la buccia. Il libro mostra uno scrittore consapevole del funzionamento della macchina editoriale, un uomo fragile che diventa vittima dell’architettura che aveva messo in piedi. Nelle lettere scorre la preoccupazione per l’inefficacia dei suoi scritti e per la mancanza di soldi. Un assillo che lo spinge a chiedere continui prestiti al suo agente e al suo editor. Poi c’è il padre e il marito cinico e dolcissimo, geloso e vendicativo. Continua a leggere

Max Perkins. L’editor dei geni

max-perkins-leditor-dei-geniMaxwell Perkins è stato lo scopritore e l’editor di autori come Francis Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway e Thomas Wolfe, dunque non è affatto pretenzioso il sottotitolo di questa biografia, Max Perkins. L’editor dei geni, con cui Andrew Scott Berg ha vinto il National Book Award.

Pubblicata nel 1978, a circa trent’anni dalla morte di Perkins, l’opera di Berg è stata finalmente tradotta in italiano da Monica Capuani per la collana Antidoti della Elliot; la sua importanza non si limita al render giustizia a una delle figure più importanti e a lungo poco conosciute dell’editoria statunitense, ma fornisce anche un’attenta ricostruzione di un’epoca e di uno spaccato della letteratura mondiale.

Attraverso i fitti carteggi intercorsi tra gli autori e il loro editor, Berg ci mostra la non facile gestazione di capolavori come Di qua dal paradisoIl grande GatsbyTenera è la notte di Fitzgerald, E il sole sorge ancora, Addio alle armiPer chi suona la campana di Hemingway, Angelo, guarda il passato Il fiume e il tempo di Wolfe, ma anche di bestseller come Il cucciolo della Rawlings: viene così sconfessata la diffusa pretesa per cui il talento sarebbe autosufficiente e il lavoro redazionale del tutto ancillare. Emerge anche come fossero minoritari la posizione e l’impegno di Perkins nel promuovere opere e stili che rinnovassero i canoni estetici e letterari del suo tempo, sfidando le insidie del mercato e sovente le resistenze del suo stesso editore, Charles Scribner prima e – con più facilità – suo figlio dopo.

Giusto per estrapolare uno tra i tanti esempi sviscerati da Berg, il titolo proposto da Fitzgerald per quello che sarebbe diventato Il grande Gatsby era il certamente meno suggestivo Trimalchio in West Egg: Perkins gli spiegò quanto potesse risultare criptico per il lettore medio e, riferendosi alla prima stesura, riscontrò che «Gatsby è vago, in un certo senso. Gli occhi del lettore non riescono mai a focalizzarsi a sufficienza su di lui, i suoi lineamenti sono indistinti» e poi «quasi tutti i lettori resteranno sbalorditi dal fatto che abbia tutta quella ricchezza e si sentiranno autorizzati a volere una spiegazione. Fornirne una distinta e definitiva sarebbe, naturalmente, del tutto assurdo. Potrebbe interpolare qualche frase qui e là». Lo scrittore seppe accogliere queste critiche e porvi rimedio; d’altro canto era consapevole di quanto l’editor avesse contribuito al suo esordio e al suo successo, giungendo a dire all’anziano Charles Scribner, che accusava di “frivolezza” l’aspirante scrittore: «Se rifiuteremo gente come Fitzgerald, perderò ogni interesse nell’editoria». Non meno difficile sarebbe stato far accettare la scrittura sfrontata di Hemingway, ma anche in questo caso Perkins aveva saputo trovare le giuste argomentazioni, spiegando al figlio dell’editore che la loro fama di ultra-conservatori, che già nuoceva al marchio, sarebbe stata rafforzata dal rifiuto di un’opera come E il sole sorge ancora.

La sua laboriosa umiltà era poi continuamente ribadita dai motti «il libro appartiene all’autore» o «un editor può tirare fuori da un autore solo quello che l’autore ha già in sé», e la riconoscenza verso i suoi assistiti è dimostrata anche dalla premura nell’alleviare le loro difficoltà private. Si scopre dagli stralci delle lettere riportati il suo tentativo costante di venire incontro alle esigenze economiche di Fitzgerald, anche sovvenzionandolo di tasca propria, o di moderare l’irruento temperamento di Wolfe. Perkins ha avuto, infatti, il merito non minore di saper cogliere la grandezza di un artista anche al di là delle sue debolezze umane.

Pubblicato originariamente sul blog della rivista Incroci – semestrale di letteratura e altre scritture:
http://incrocionline.wordpress.com/2013/09/26/andrew-scott-berg-max-perkins-leditor-dei-geni/

“Hotel a zero stelle”, la ribellione di Tommaso Pincio

hotel a zero stelleHotel a zero stelle di Tommaso Pincio è stato pubblicato nella collana Contromano della Laterza già da un paio d’anni, ma ha ancora senso parlarne, perché le opere capaci di rivelare cosa possa rappresentare la letteratura e quale ne sia il senso sono rare e immensamente preziose: Hotel a zero stelle, infatti, non intende stabilire un canone narrativo, ma semplicemente sottolineare come l’arte possa compenetrare le nostre esistenze, porgendoci delle chiavi interpretative e donandoci dei compagni di viaggio. E che l’intento dell’autore fosse di andare oltre il raccontare se stesso per tendere una mano verso gli altri, me lo ha confermato un breve scambio privato in cui Pincio ha tenuto a precisare che «l’idea era quella di costruire una specie di autobiografia spirituale attraverso gli spiriti altrui. In questo senso, il libro voleva essere un invito per il lettore; l’invito a costruirsi un proprio albergo, o una propria dimora (se preferisce), con i suoi ospiti, con i suoi percorsi, con i suoi personali inferni e paradisi».

Nelle prime pagine, dopo aver riportato le parole di Mario Vargas Llosa: «Scrivere un romanzo è una cerimonia che somiglia allo strip-tease», Pincio chiosa: «Cosa volesse intendere è facile intuirlo: scrivere è, almeno in teoria, un po’ come denudarsi, mostrare la propria anima. […] C’è però una differenza di non poco conto tra le ragazze illuminate da “impudichi riflettori”, intente a liberarsi con sapiente lentezza dei vestiti, e gli scrittori che scrivono romanzi. Alla fine della loro performance queste fanciulle sono realmente nude, mentre a romanzo compiuto lo scrittore è vestito di parole». Lasciamo da parte la questione se Hotel a zero stelle sia o meno un romanzo, perché sarebbe oltremodo complesso stabilirlo, e accontentiamoci di definirlo pura Letteratura (o se si preferisce “autobiografia spirituale”, come sintetizzato dall’autore); si ponga invece attenzione a quanto Pincio sottende, quasi volesse metterci in guardia sulla veridicità degli episodi autobiografici che sembra rivelarci: davvero la sua giovane madre ha tentato il suicidio mentre lo portava in grembo? Realmente ha rischiato di morire per overdose? Non ha poi troppa importanza, perché è comunque autentica la sua vocazione a dimorare nel non-luogo di questo albergo «i cui ospiti tipo dovrebbero essere i vagabondi dell’anima», strutturato su quattro piani «perché ognuno ha il suo modo personale di perdersi così come ha un proprio inferno, un proprio purgatorio, un proprio paradiso» – chiaro e non unico richiamo dantesco. Continua a leggere

Richard Yates a proposito di Francis Scott Fitzgerald

Dai contenuti extra di Revolutionary road nell’edizione “minimum classics”

[…] ogni riga di dialogo in Gatsby rivela su chi parla più di quanto il personaggio stesso volesse rivelare. L’autore non permette mai che il dialogo diventi semplicemente «realistico», con personaggi che si scambiano frasi scialbe sovraccariche di informazioni, ma fa più volte in modo di cogliere tutti i suoi personaggi, sia pure in maniera impercettibile, proprio nell’attimo in cui si tradiscono.