Maxwell Perkins è stato lo scopritore e l’editor di autori come Francis Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway e Thomas Wolfe, dunque non è affatto pretenzioso il sottotitolo di questa biografia, Max Perkins. L’editor dei geni, con cui Andrew Scott Berg ha vinto il National Book Award.
Pubblicata nel 1978, a circa trent’anni dalla morte di Perkins, l’opera di Berg è stata finalmente tradotta in italiano da Monica Capuani per la collana Antidoti della Elliot; la sua importanza non si limita al render giustizia a una delle figure più importanti e a lungo poco conosciute dell’editoria statunitense, ma fornisce anche un’attenta ricostruzione di un’epoca e di uno spaccato della letteratura mondiale.
Attraverso i fitti carteggi intercorsi tra gli autori e il loro editor, Berg ci mostra la non facile gestazione di capolavori come Di qua dal paradiso, Il grande Gatsby, Tenera è la notte di Fitzgerald, E il sole sorge ancora, Addio alle armi, Per chi suona la campana di Hemingway, Angelo, guarda il passato e Il fiume e il tempo di Wolfe, ma anche di bestseller come Il cucciolo della Rawlings: viene così sconfessata la diffusa pretesa per cui il talento sarebbe autosufficiente e il lavoro redazionale del tutto ancillare. Emerge anche come fossero minoritari la posizione e l’impegno di Perkins nel promuovere opere e stili che rinnovassero i canoni estetici e letterari del suo tempo, sfidando le insidie del mercato e sovente le resistenze del suo stesso editore, Charles Scribner prima e – con più facilità – suo figlio dopo.
Giusto per estrapolare uno tra i tanti esempi sviscerati da Berg, il titolo proposto da Fitzgerald per quello che sarebbe diventato Il grande Gatsby era il certamente meno suggestivo Trimalchio in West Egg: Perkins gli spiegò quanto potesse risultare criptico per il lettore medio e, riferendosi alla prima stesura, riscontrò che «Gatsby è vago, in un certo senso. Gli occhi del lettore non riescono mai a focalizzarsi a sufficienza su di lui, i suoi lineamenti sono indistinti» e poi «quasi tutti i lettori resteranno sbalorditi dal fatto che abbia tutta quella ricchezza e si sentiranno autorizzati a volere una spiegazione. Fornirne una distinta e definitiva sarebbe, naturalmente, del tutto assurdo. Potrebbe interpolare qualche frase qui e là». Lo scrittore seppe accogliere queste critiche e porvi rimedio; d’altro canto era consapevole di quanto l’editor avesse contribuito al suo esordio e al suo successo, giungendo a dire all’anziano Charles Scribner, che accusava di “frivolezza” l’aspirante scrittore: «Se rifiuteremo gente come Fitzgerald, perderò ogni interesse nell’editoria». Non meno difficile sarebbe stato far accettare la scrittura sfrontata di Hemingway, ma anche in questo caso Perkins aveva saputo trovare le giuste argomentazioni, spiegando al figlio dell’editore che la loro fama di ultra-conservatori, che già nuoceva al marchio, sarebbe stata rafforzata dal rifiuto di un’opera come E il sole sorge ancora.
La sua laboriosa umiltà era poi continuamente ribadita dai motti «il libro appartiene all’autore» o «un editor può tirare fuori da un autore solo quello che l’autore ha già in sé», e la riconoscenza verso i suoi assistiti è dimostrata anche dalla premura nell’alleviare le loro difficoltà private. Si scopre dagli stralci delle lettere riportati il suo tentativo costante di venire incontro alle esigenze economiche di Fitzgerald, anche sovvenzionandolo di tasca propria, o di moderare l’irruento temperamento di Wolfe. Perkins ha avuto, infatti, il merito non minore di saper cogliere la grandezza di un artista anche al di là delle sue debolezze umane.
Pubblicato originariamente sul blog della rivista Incroci – semestrale di letteratura e altre scritture:
http://incrocionline.wordpress.com/2013/09/26/andrew-scott-berg-max-perkins-leditor-dei-geni/